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Fabio Morici autore di “Alejandro González Iñárritu. Metafisica e metacinema” racconta del suo libro a B In Rome

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Il suo libro “Alejandro González Iñárritu, metafisica e metacinema” richiama subito alla riflessione il lettore più attento circa il mondo di questo regista dandone un taglio netto, quali sono state le motivazioni che l’hanno spinta a dare alla sua opera questo titolo?

Nel libro non analizzo i film dal punto di vista tecnico. Ma indago i contenuti, i mondi e l’essere umano che le opere raccontano. Sono partito dai film per spingermi il più lontano possibile, seguendo le connotazioni, le suggestioni, le riflessioni, gli echi, le risonanze e i riverberi che i film hanno evocato in me. E ne è uscito fuori un viaggio esistenziale, ai confini del senso, tra letteratura, poesia, matematica, fisica quantistica, religione, filosofia. Perché i film di Iñárritu contengono tutte queste cose. E parlare di tutte queste cose insieme, significa parlare di massimi sistemi. E dunque di metafisica. Ma le opere di Iñárritu sono anche film nel film, scatole cinesi, frattali… E qui arriva il metacinema.

Alejandro González Iñárritu si è fatto conoscere da subito nel mondo del cinema grazie all’esordio con Amores Perros, continuando lungo la strada di 21 grammi, Babel, Biutiful e gli ultimi successi quali Birdman e Revenant. Secondo lei c’è stato un cambio nelle scelte registiche e nell’estetica di Iñárritu nel corso del suo percorso?

C’è stato senz’altro. Perché Iñárritu è un regista che cerca continuamente nuove sfide. Sia dal punto di vista narrativo che dal punto di vista tecnico. Ma le scelte stilistiche di Iñárritu sono sempre funzionali al racconto. Se cambia la storia e l’ambientazione, cambia anche il modo di raccontarla. Dunque per lui non può esistere uno stile unico, ma tanti stili quanti sono i film. Il piano sequenza di Birdman, per esempio, non è un mero virtuosismo. Il film parla di teatro e dunque il piano sequenza restituisce la diretta senza stacchi propria del teatro. Inoltre il film parla di ego, e dunque non dobbiamo mai staccarci dal protagonista. Revenant parla del rapporto tra uomo e natura, tra microcosmo e macrocosmo: ed è per questo che Iñárritu decide di girarlo andando davvero in mezzo alla natura, la natura selvaggia e pericolosa; e per lo stesso motivo decide assieme a Lubezki di girare usando solo la luce naturale.

Il cinema inarrituiano è stato spesso considerato un’incarnazione contemporanea della tragedia greca un invito al massacro psicologico ed emozionale dello spettatore, crede che sia azzardato questo parallelismo? la crudezza e la durezza nel linguaggio del regista può avere un senso che vada oltre il suo stesso cinismo?

La crudezza nei suoi film è semplicemente verità senza filtri. E la verità non è mai cinica. Cinico può essere solo lo sguardo dell’uomo. Nei film di Iñárritu non c’è mai cinismo. La morte è sempre rinascita, la fine è sempre un nuovo inizio. Perciò c’è perfino un’idea romantica dietro quella crudezza: dal male, dalle avversità, dal destino ci possiamo salvare soltanto attraverso le relazioni umane, l’amore e attraverso l’eredità che lasciamo ai nostri figli. Lo spettatore greco andava a teatro per riflettere sul mistero della vita e per sentirsi parte di qualcosa di più grande del singolo individuo. I temi che Iñárritu affronta, e il modo in cui li affronta, servono a spingere il pubblico verso questa direzione.

Oltre la maturazione e la diversità delle molteplici creazioni, in Iñárritu lei crede che sia possibile trovare un leitmotiv, un filo conduttore, un muro portante che regga la struttura dell’intera filmografia inarrituiana?

Tutti i suoi film raccontano come gli individui si comportano quando sono spinti al limite, come affrontano la paura, la tragedia, la perdita, la morte. I personaggi di Iñárritu si trovano sempre ad affrontare eventi imprevedibili che ridisegnano le loro esistenze. Questo concetto, presente in tutti i suoi film, è seminato a partire dal primo, Amores Perros, nella frase: “Se vuoi far ridere Dio, digli i tuoi piani”. Che sia Dio a muovere i fili, il destino o il caso, la storia è sempre la stessa: mentre siamo impegnati a costruire i nostri percorsi, arriva un incidente, una malattia, un’altra persona… e tutto cambia.

Quale dei film sopracitati secondo lei supererà la prova del tempo? Quale di questi film meriterebbe di sedere al fianco dei grandi film quali “L’infanzia di Ivan” di Tarkovskij o “L’Arca Russa” di Sokurov e perché? In che misura possiamo trovare, secondo Lei, elementi innovativi nelle opere di questo autore? E dall’altra parte quali sono i richiami e il prestito di Iñárritu nei confronti dei diversi registi e narratori della storia del cinema?

Di elementi innovativi se ne trovano in ogni sua opera. Per esempio il piano sequenza di Birdman. Abbiamo già esempi di film costruiti come un unico apparente piano sequenza, come Nodo alla gola di Hitchcock; o addirittura, film che sono un vero unico piano sequenza, come appunto Arca russa. Ma in Birdman c’è una novità. Nei film qui citati, il piano sequenza viene usato per dare l’idea del tempo reale. Il tempo che passa nel film, è lo stesso che passa per lo spettatore. Ed è così che in generale viene usato il piano sequenza al cinema: per evitare l’inganno del montaggio, le ellissi, e dare l’idea di contemporaneità. In Birdman invece Iñárritu inganna proprio con il piano sequenza. Seguiamo Riggan dal palcoscenico ai camerini, poi lo vediamo tornare sul palco, senza aver mai staccato, eppure improvvisamente sul palco è il giorno dopo. Il passaggio è apparentemente impossibile. Iñárritu fa con il tempo gli stessi paradossali giochi che Escher fa con lo spazio. Le scale di Escher sono impossibili eppure rappresentabili. E così le ellissi senza stacchi di Birdman: sono impossibili eppure rappresentabili.
Riguardo al prestito, senza dubbio Iñárritu deve molto alla nouvelle vague, a Godard, come dimostrano le esplicite citazioni che Iñárritu fa al regista francese (i titoli di testa di Birdman sono un omaggio ai titoli di testa de Il bandito delle undici). Ma per ogni film possono trovarsi riferimenti diversi. Lui stesso, parlando di Revenant, cita come ispirazione Herzog e Tarkovskij.
Riguardo all’eredità, infine, credo che tirare le somme ora sia prematuro e forse anche ingiusto. Ma così come Amores Perros, dopo 15 anni, è ancora attualissimo, mi resta difficile pensare che tra altri quindici anni, non lo sarà anche Birdman.