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Parco della Musica, il concerto delle citazioni di Leif Ove Andsnes

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È stato un successo, sancito dal mare di applausi che hanno spinto Leif Ove Andsnes per ben tre volte sul palco, concedendo ben due bis dal suo repertorio chopiniano. È stato anche il concerto dei richiami, dei rimandi, con una cabala intrecciata di citazioni che solo nel “poi” si mostra chiaramente in tutta la sua splendida geometria appassionata.

Una vittoria del pianista su un pubblico difficile, non delle grandi occasioni, ma di appassionati e cultori della materia. Il tema del concerto era difficile, da Sibelius a Chopin, passando per Debussy, ma Andsnes ha saputo tenere bene in mano la barra del timone, lasciandosi andare a pochissime note tenute sul finale, piccolo cedimento a una figura di maniera del pianista in trance.

La serata si apre con Sibelius e la sua “Kylikki”, un panorama siderale e freddo che viene calato magistralmente da Andsnes nella sala. Rievocando la Sonata Waldstein, il primo movimento lirico, che solitamente viene posto nel secondo movimento, abbraccia l’ascoltatore, immergendolo in una dimensione fresca e altra. Nonostante la difficoltà di poter definire questa forma “classica”, la progressione di ottave, in moto contrario, riporta il tema a una ricapitolazione pesante, che però non viene ostinatamente sottolineata da Andsnes. Sul Pesante finale, una visione spietata del primo Largamente, il pubblicot è accompagnato dolcemente verso la fine del I movimento.maxresdefault

Anche nel II movimento del Kyllikki continuano i rimandi a Beethoven, e nell’Andantino, dove la dominante in Fa viene sottolineata da un pedale che richiama anche il tema, lascia poi lo spazio a un notturno, ulteriore citazione del concerto stesso per il Notturno chopiniano del secondo tempo. Quasi come nella Sonata “Les adieux” di Beethoven ecco il tema dell’addio che viene presentato al pubblico con una delicatezza tutta nordica.

Sul Finale, accusato in modo ingiusto di essere troppo breve, Andsnes dà il meglio di sé, dosando con parsimonia la tensione che il pezzo richiede pur tratteggiando quei momenti di estrema seduzione che la storia racconta.

Il concerto prosegue ancora con Sibelius e gli “Schizzi” op. 114. Un altro espediente perché Andsnes riesca a dare prova di un magistrale controllo dei registri evocativi del pianoforte.

La “Caccia”, Sonata beethoveniana op. 31 n.3 accende nel pubblico un’attesa che viene subito smorzata dalla sorpresa di sentire al pianoforte un Beethoven fresco e non suonato “a la”. Non si sente nessuna eco delle dita d’acciaio di Gould o Rubinstein o Arrau. Andsnes, ancora una volta ritornano i richiami interni al concerto. Pochi sanno che Chopin, nel 1848 a Londra, ascoltata la Sonata suonata da Charles Hallé, la definì «molto volgare». Chopin che riapparirà in finale di concerto.maxresdefault (1)

Pur essendo tutte le Sonate dell’opera 31 di natura sperimentale, la terza del gruppo è ancora “più sperimentale”, infatti è strutturata su 4 tempi al posto dei canonici 3. Lo Scherzo è una forma sonata in misura binaria. Il titolo apocrifo le fu dato per via del suo Finale, dove sono inseriti tutti gli espedienti settecenteschi della musica detta “da caccia”; cosa che Beethoven confermò, inserendo per la mano sinistra la “mano del corno”, che Andsnes ha saputo sottolineare senza farla diventare soggetto della sonata. Sul basso albertino del I movimento Andsnes ha disegnato un piccante gioco pianistico, con un suono perfetto, non angoloso, come a volte risulta all’ascolto la sonata. Lo “staccato” dello Scherzo, in Beethoven un unicum, visto che era campione del legato e iperlegato, è un gioco di maestria che Andsnes ha saputo presentare al pubblico senza leziosità. Il Minuetto nostalgico lascia spazio alla tarantella del Finale.

La seconda metà del concerto è dedicata alla bravura di Andsnes. Gli studi di Debussy gli permettono di sfoggiare la sua elegante padronanza delle dita. Tutto in lui è dinamicamente al posto giusto. Il respiro, l’espressione e le movenze del concertista. La “Sera a Granada” viene suonata come un affresco, anzi meglio, come una immagine cinematografica. In uno spazio fisso, le idee si muovono. La pluritematicità del brano costringe Andsnes a uno sforzo maggiore: tenere uniti i vari fili per non disperdere l’attenzione del pubblico su un brano a dispetto di un altro. Esperimento riuscito anche negli Studi di Debussy.

Il concerto si chiude con un tributo a Chopin, Impromptu 1, pur con la sua struttura tripartita, tipica dei Notturni, è stato suonato in modo magistrale. Il primo tema a modo di studio, il moto perpetuo per intenderci, è stato subito identificato, mentre sul secondo tema, quello lirico, la prosa di Andsnes si è mischiata magistralmente a quella di Chopin, senza mai essere invadente. Gli altri brani, il “Notturno” op 15 n.1, la “Ballata” n. 4 op. 52, e i Tre Nuovi Studi in la bemolle maggiore, sono scivolati via con una grazia cristallina.

Un concerto che ha saputo trattare la materia con l’eleganza che ci aspetta da un professionista, che però ha dato un tocco in più grazie a una magia che solo da Andsnes il pubblico si aspettava.