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Roma, al Teatro Argentina si elogiano gli anni 80: un addio alle favole del cielo

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Presentato al Teatro Argentina di Roma, Der Park, fatica di Botho Strauss, su testo di Peter Stein.
Uno Shakespeare 2.0 quello offerto all’Argentina di Roma. Con una rilettura originale del testo scespiriano di “Sogno di una notte di mezza estate”.
L’autore si propone di presentare al pubblico un nuova ricerca, una recherche erotica, che possa far riemergere un lato romantico nel nostro mondo. Con la pulsione come esclusivo veicolo della propagazione della specie, Oberon e Titania non possono che accettare la sconfitta, diventando così corifei di un universo dove la poesia del Bardo è solo un libro da tenere sul comodino.
Antonio Calbi, direttore del Teatro di Roma spiega così l’opera: «Il teatro è un’arte sociale, che non si estingue e che usa la vita dal vivo e dal vero nel qui e ora, cosa che le altri arte non fanno».
La produzione è impegnativa. Si tratta di «uno spettacolo complesso e sinfonico».
Calbi aggiunge anche delle frecciatine contro le ultime notizie da parte del ministero. Pur essendo diventati Teatro Nazionale «abbiamo un budget inadeguato per realizzare le ambizioni sane che un teatro nazionale debba avere, un teatro che merita di trovare la sua dimensione di agorà pubblica e questo purtroppo non lo ha mai avuto». «L’aggettivo e la medaglia servono – dice ancora Calbi – se dietro c’è la possibilità di onorare dei parametri ministeriali, non con animazioni in gondola, di museo, con spettacoli importanti ci sono dei teatri che hanno presentato dei piani che hanno sbilanciato tutti gli equilibri, speriamo che il ministro se ne accorga e metta correttivi».

L’odio e le domande delle nuove generazioni
E’ un lavoro nuovo per il palcoscenico italiano: un testo di Strauss per Stein del 1983, «perché ci ricorda di una modalità di lavoro estranea al nostro paese». Continua Colbi. Il direttore ha illustrato la difficile scommessa di rimontare una lingua diversa, «sapendo quanto è difficile la traduzione a teatro di un testo scritto in un’altra lingua per’un’altra cultura, ma io, che sono direttore, sono soddisfatto».
Si tratta di «un labirinto». Non solo per le 36 scene montate a vista, un’azione che canta un’elegia alla dimensione dell’artigianato che fa il paio con la recitazione, esprimendo una dimensione significativa che «svela tutti i trucchi del teatro». È un gioco disvelato che avviene in diretta. Rispondendo a una critica sull’età del testo, il direttore risponde: «rispondo ‘allora niente Beckett’, no?».
Strauss non è di facile lettura, il suo viaggio che parte da Shakespeare e arriva alla classicità, è un dato molto tedesco. L’esperienza dello “Schaubühne” ridonda di significato.
«Chiudo con un auspicio – conclude il direttore -, si può crescere insieme. Condividendo con il pubblico si ottiene il meglio e si può restituire al teatro la sua funzione principale che è di dirci qualcosa di noi, che nessuna scienza può svelare, che solo l’arte concreta può suggerire».
Andrea Porcheddu ci tiene a sottolineare che «questo spettacolo rischia di passare come un teatro di regia, ma è un teatro d’attore». «Gli attori – continua Porcheddu – sono straordinari, la cosa bella di questo spettacolo da una prospettiva critica è questo: un grande maestro che forma un gruppo di attori che si ritrova intorno a lui, pur facendo splendere ogni singolo attore».
«Questo testo degli anni ’80 è un pezzo di modernariato, non è un classico, è stato però trattato così, con un linguaggio aspro lirico poetico. Eppure grazie a questi interpreti il linguaggio arriva. È una sinfonia di voci che ci accompagna. Si torna a casa appagati»
E’ uno spettacolo che fa domande. Sono domande aspre e impegnative. «Il testo è tutto questo: una complessità di classico e contemporaneo, di presentismo e passato è un linguaggio che si snocciola in tirate lunghissime e frammenti di conversazione».