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“SHOAH, FRAMMENTI DI UNA BALLATA” al Teatro Argentina

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31 gennaio1 febbraio al Teatro India

SHOAH, FRAMMENTI DI UNA BALLATA

di e con Fabrizio Saccomanno e Redi Hasa

registrazioni sonore Valerio Daniele

Chora Studi Musicali

Produzione Ura Teatro
prodotto da Farm Lecce e organizzato dal Consiglio Regionale della Puglia Servizio Biblioteca

Un viaggio nella memoria che, dopo la programmazione al Teatro Argentina e al Teatro di Villa Torlonia, fa tappa al Teatro India, mercoledì 31 gennaio (ore 21) e giovedì 1 febbraio (ore 19), con le storie di quattro bambini e adolescenti, abbandonati a loro stessi dopo la deportazione dei genitori, al tempo della Shoah in Ucraina, Ungheria, Polonia, Italia tra il 1942 e il 1946. Shoah. Frammenti di una ballata di e con Fabrizio Saccomanno e Redi Hasa, racconta la Storia che ha portato al potere il nazismo, le leggi antisemite, la vita nei campi di sterminio, fino alla liberazione e all’accoglienza dei profughi in alcune località della Puglia.

Le attività rientrano nel progetto MEMORIA genera FUTURO, programma di appuntamenti coordinato da Roma Capitale in occasione del Giorno della Memoria 2018.

 

Shoah Frammenti di una ballata porta in scena la terribile esperienza dei tanti orfani abbandonati a loro stessi dopo la deportazione dei genitori costretti a vivere nei boschi come animali, la vita nel ghetto elemosinando un pezzo di pane e qualche patata, la drammatica esperienza del lager dove arrivavano con i loro giocattoli in mano, il ricordo indelebile degli orrori che ha segnato per sempre la loro vita, chiusi nel proprio silenzio e consapevoli che non ci sono parole per raccontare la Shoah. Uno spettacolo che racconta attraverso gli occhi dei bambini la storia che ha portato al potere il nazismo, le leggi antisemite, la vita nei campi di sterminio, ne coglie il dramma intimo, sottolinea il significato umano del loro sacrificio e il dolore, fino alla liberazione e all’accoglienza dei profughi che ha interessato anche alcune località della Puglia. «Parlare della Shoah ci pone di fronte al limite delle nostre parole e allo sforzo vano di una possibile comprensione – riflette Fabrizio Saccomanno – La Shoah è indicibile. Ogni volta che ci accostiamo a questa storia ci rifugiamo nell’iperbolico, nell’eccezionale. Le parole si fanno esagerate, si ammantano di retorica. Siamo esseri fragili e alle volte recintiamo di parole le grandi catastrofi per proteggerci da essa, diceva Appelfeld. Meglio sarebbe il silenzio, una pietra su una tomba, un fiore gettato in terra, una musica nell’aria, una danza. Ma di questa storia è bene parlarne, ce lo siamo detto più volte perchè riguarda il nostro passato quanto il nostro futuro. Dopo aver letto numerose testimonianze ed essermi nutrito di libri scritti da autori eccezionali cerco di restituire qualcosa. Quattro piccoli racconti con andamento sincopato e a tratti stralunato. Sembrano incubi e forse lo sono per davvero. Sono voci di bambini e adolescenti che non capivano quello che stavano vivendo e provano a raccontarlo senza cercare redenzione. Alla fine della guerra ci sono stati lasciati fiumi di parole. Sono molti quelli che hanno testimoniato, raccontato, analizzato, valutato, confessato. Ci hanno lasciato in eredità opuscoli, diari, libri di memorie. Ci sono dentro storie terribili, tanto dolore, a volte anche luoghi comuni, giudizi affrettati e superficiali. Era ed è giusto così. Ma tutto questo materiale mi paralizzava. Sentivo che le mie parole andavano ad aggiungersi a tutta un’infinita letteratura senza nulla aggiungere. Meglio, mi dicevo, sarebbe il silenzio, il gesto di gettare un fiore in terra o di posare una pietra su una tomba. Meglio una musica. Da questo travaglio ha preso corpo quello che ho chiamato Shoah, frammenti di una ballata. Con Redi Hasa, meraviglioso musicista e compositore, abbiamo costruito quattro brevi racconti in cui continuo è il dialogo tra parole e musica. Sono racconti che non vogliono dire per intero quella terribile storia (d’altra parte come si potrebbe), sono racconti che più che interessarsi ai fatti cercano di restituire le sensazioni e i pensieri di chi c’era li in quel momento. Sono voci di bambini ed adolescenti che non capirono allora quello che stavano vivendo e provano a dirselo e a dircelo in qualche modo. Un modo sincopato e stralunato. Più che voci che spiegano sono occhi che raccontano. E non cercano redenzione».