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Teatro India, “Esposizione Universale”: risorge Germinal, Étienne Lantier parla romanaccio

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Un novello “Germinal”: il grido d’accusa contro la speculazione dell’anima, dei cuori e delle braccia in una Roma che prova a rinascere. È lo spettacolo di Luigi Squarzina, messo in scena dal regista Piero Maccarinelli, in cartellone al Teatro India fino a 18 ottobre. Uno spettacolo scritto fra il ’45 e i ’48, che resta ancora oggi, purtroppo, attuale. Un teatro civile, di impegno, senza fronzoli. Un teatro che riporta, senza esportare nessun tipo di analisi metafisica. Un teatro che non propone scene forti solo per il gusto di sfottere il buon senso. No, “Esposizione Universale” va dritto al cuore del problema. Presentando una marea di umanità magmatica, che zoppica, che si innamora, come una “Spoon River” sui bordi di un Tevere marmoreo, questi sono gli ultimi, i diseredatati della guerra, i falliti sveviani e gli sconfitti; Squarzina rinfocola la polemica contro la dissezione del buon senso.

Con in testa un progetto edilizio e in barba a tutto il buon senso umanitario, Barzilai, giornalista senza scrupoli convince il responsabile del campo sfollati, modellato sul personaggio di Étienne Lantier, a farsi aiutare a trasferire volontariamente le persone in un nuovo campo. Ma «La folla: [è] una forza cieca che continuamente divora se stessa». Scriveva Zola in Germinal. Ed ecco che in pochi secondi il dramma si compie. Ma se fosse veramente così facile il dramma non si anniderebbe dietro ogni angolo. Lucia, malata e sofferenze, novella Mimi, senza il cuore di una Violetta, cede il passo a un rancoroso addio al suo Bartali, adolescente che lemme lemme scavalca le sue rimostranze e affonda le mani nel suo cuore che si fredda ogni ora che passa. Ma non solo loro. Tutto questo microcosmo diventa facilmente inseribili nel ciclo dei “Rougon-Macquart”.

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Il cinismo degli ultimi viene quasi nobilitato, una pratica che per fortuna verrà messa definitivamente in disuso dal film del ’76 di Scola “Brutti, sporchi e cattivi”. Il cinismo, l’affarismo, la violenza verbale, diventano i sinonimi di una vita passata al margine. Ma anche giustificati quasi.  Si tratta di una descrizione del margine di una vita a margine, di una vita trascorsa a infierire contro se stessi, vendendosi, vendendo e trafficando. La condizione di ultimo Squarzina la dipinge benissimo, e tutti gli attori, provenienti dal Corso di Perfezionamento per attori della Scuola del Teatro di Roma, non recitano semplicemente, ma si danno al personaggio.foto-Serafino-Amato-Esposizione-Universale-regia-Piero-Maccarinelli.01
Non c’è fuga da questa sentina di rancori. Dal vecchio professore fascista, al gobbetto rancoroso e impotente, o l’invalido di guerra. «Non sarete mai degni della felicità, finché possiederete qualche cosa, finché il vostro odio contro i ricchi proverà soltanto il desiderio d’esser ricchi al posto loro».
Non c’è un futuro, non c’è futuro dentro un campo sfollati, non c’è futuro se non in una fuga liberatoria, in una morte senza fine e nemmeno troppo gloriosa. Una morte abbracciata, rimestata da uno Stato che inventa una storia nella storia, pur di non dire la verità: i morti non sono tutti uguali.