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La grande mela umanista di Wiseman, Ex Libris: The New York Public Library

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Le porte della New York library si aprono davanti allo spettatore come non le abbiamo mai viste. Subito si ha l’impressione di entrare nel tempio della cultura, un sancta sanctorum della conoscenza la cui struttura interna si rivela ben presto estremamente stratificata.

La monumentale opera di Wiseman è un’attenta ricostruzione dell’incredibile microcosmo che la città di New York e in particolare la sua biblioteca sono stati capaci di creare.

La prima impressione è che il fulcro di questa realtà paradossalmente non giri attorno ai libri e che la loro consultazione sia solo una delle innumerevoli possibilità che la biblioteca offre.

Al centro ci sono le voci delle persone, il melting pot vero e proprio che New York incarna. Tanti volti diversi, infinite parole, fin quasi alla nausea, la cui unione ha però un intento preciso di costruzione. È proprio questa la volontà che accomuna i protagonisti del documentario: il desiderio di costruire, che sia un’identità, una nuova forma di società, un’educazione aggiornata per i bambini, una rinnovata dimensione accessibile a tutti.

Una delle figure predominanti nel documentario è Kahill Gibran Muhammad, professore di storia ad Harvard e figura fondamentale all’interno della rinascita culturale americana ma qui in particolare presentato come direttore dello Schomurg center ad Harlem, uno dei più grandi archivi mondiali di materiale sulla black culture. È questo uno dei fulcri più scottanti del documentario, quello legato alla comunità afro-americana di New York in continua espansione. L’atteggiamento che ne traspare è di forte speranza, di presa di coscienza da parte dei membri dell’intellighenzia della grande mela. La constatazione che approcci come quelli dell’orientalism di Edward Said, per quanto innovativi iniziano ad essere desueti, in una società che corre a passo di ghepardo.

In uno dei momenti più interessanti del film, alcuni giovani attori sfogliano il più grande archivio di immagini al mondo cercando ispirazione per la creazione di personaggi. Fra le fotografie spicca un’immagine di Julia Cameron. La famosa fotografa vittoriana adduceva la poca realisticità dei suoi personaggi alla tragicità di non riuscire a capire la tragicità del mondo, ed è proprio questo dramma che sembra affliggere i giovani newyorkesi. Anime che brancolano alla ricerca di un proprio posto, che si buttano nella stand up poetry cercando di capire perché è così difficile trovare un’identità.

L’opera totalizzante di Wiseman si configura come uno sguardo d’insieme su questa biblioteca-mondo, i cui confini non si fermano alle novantadue filiali disseminate per la città ma sconfinano verso nuove frontiere. Una realtà quella della New York library il cui desiderio primario è che nessun cittadino rimanga isolato, che ognuno apra gli occhi sul mondo che arriverà e conosca il passato che lo ha reso possibile.

Frederick Wiseman si riconferma uno degli ultimi filantropi in un mondo cinico e pessimista, operando in maniera non dissimile dal protagonista del citato romanzo “La chiave a stella” con la sua cieca fiducia nell’umanità, da Elvis Costello, ultimo baluardo del cantautorato di resistenza, ma soprattutto dalle migliaia di volontari che operano nei vari rami del gigantesco albero della libreria di New York e che lottano ogni giorno per restituire la voce a una città dalle mille voci, una Babilonia che anche grazie a questo cuore pulsante non ha dimenticato il valore primario della comunicazione.

Mila Di Giulio