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Quattro affascinanti storie di “Assassine” in un unico spettacolo, al Teatro Belli

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Francesca Bianco, Eleonora Zacchi, Monica Belardinelli, Annamaria Iacopini in
Francesca Bianco, Eleonora Zacchi, Monica Belardinelli, Annamaria Iacopini in "Assassine" al Teatro Belli, regia Carlo Emilio Lerici

Dal 19 al 21 aprile al Teatro Belli va in scena Assassine di Alberto Bassetti, Angelo Longoni, Giuseppe Manfridi, Massimo Vincenzi, Adriano Vianello con Francesca Bianco, Eleonora Zacchi, Monica Belardinelli, Annamaria Iacopini, Sebastiano Colla, musiche a cura di Francesco Verdinelli e con la regia di Carlo Emilio Lerici.

Quattro donne, quattro assassine, quattro storie ricche di suspense che attraversano quattro secoli..

Quattro modi di calarsi nel cuore di una perversione omicida più tortuosa di quella maschile.

Quattro tentativi di svelarne l’incomprensibile mistero.

 

LA CASTELLANA di Giuseppe Manfridi – con Monica Belardinelli


Erzsébet Báthory (1560-1614), conosciuta come la Contessa Sanguinaria, è stata la più efferata serial killer della storia umana. Le sue vittime sono circa 650, o forse di più.

Nasce in Ungheria in una famiglia particolare: lo zio, un principe della Transilvania violento e selvaggio, il fratello, un maniaco sessuale inarrestabile, la zia, incarcerata perché strega e lesbica, e un altro zio alchimista e adoratore del demonio. Come se non bastasse, la balia, alla quale viene affidata la Contessina, è dedita alla magia nera.

La Báthory è narcisista e vanitosa, cambia abbigliamento anche sei volte al giorno, e passa ore ad ammirare la propria bellezza in numerosi specchi.

Utilizza ogni tipo di unguento e preparato che possa mantenere giovane e pallida la sua pelle. Esige che, chiunque la incroci, faccia un elogio alla sua bellezza.

E’ molto violenta con la servitù: cosparge i servi di miele, e li lascia legati a un muro, mentre vengono mangiati dalle api. O li mette nudi all’aperto, d’inverno, versandogli continuamente dell’acqua fredda addosso per farli morire congelati.

Nel 1601 rimasta vedova ritorna in Ungheria. In questo periodo, donne giovani e bambini cominciano a scomparire dai villaggi. Erzsébet adesca le ragazze con la scusa di prenderle in servitù al castello, poi le sbatte nelle celle dei sotterranei.

Finalmente nel 1610 le autorità decidono di muoversi. Il Re d’Ungheria organizza una missione: raduna una squadra di uomini di fiducia e li manda a ispezionare il castello.

In diverse stanze vengono ritrovate ossa e resti umani, nella camera della Contessa ci sono i vestiti e gli effetti personali di alcune ragazze scomparse. Nei sotterranei ci sono cadaveri ovunque, privati degli occhi e delle braccia. Nei dintorni del castello vengono disseppelliti molti corpi. In giardino, nel recinto dei cani, vengono trovati altri resti umani, con i quali gli animali si nutrivano.

Il processo comincia il 2 gennaio 1611. Si susseguono moltissimi testimoni. Grazie alle sue origini nobiliari, Erzsébet Báthory viene condannata alla prigione a vita in un’ala del suo castello dove morirà tre anni dopo.

 

NESSUNA PIETA’ di Adriano Vianello – con Eleonora Zacchi

 

Ruth Snyder (New York 1895-1928) e il suo amante uccisero il marito di lei colpendolo con un contrappeso, facendogli inghiottire del cloroformio e strangolandolo con del filo metallico, in un eccidio sanguinoso e crudele. Ruth faceva la centralinista quando conobbe un ricco e facoltoso uomo d’affari più anziano di lei che la sposò, nel 1925 aveva tutto ciò che una donna poteva desiderare, un suo conto in banca, una macchina, una villa di proprietà, agi e lussi. Ma si annoiava e inoltre il marito la considerava una ragazzina svaporata e rimpiangeva la sua prima innamorata poi defunta, rimirandone in continuazione il ritratto che teneva sul comodino. La donna per reazione si abbigliava come una prostituta ed usciva a rimorchiare uomini imbastendo brevi storie passionali che consumava nei motel. Conobbe un uomo insignificante ma che la ascoltava, per lei questo voleva dire molto, e cominciò a raccontargli dei suoi tentativi di liberarsi del marito. In garage con il monossido di carbonio, con una spinta mentre era sul molo, con del bicloride di mercurio fingendo di curargli il singhiozzo, finché alla fine chiese aiuto all’amante, organizzò tutto, lo ubriacò, si procurò le tre armi del delitto, e insieme consumarono il delitto, simulando malamente un’aggressione. Furono condannati e giustiziati entrambi sulla sedia elettrica.

Eppure nonostante tutto, al di là delle evidenti prove di colpevolezza, al di là del verdetto dei giudici, al di là dell’efferatezza del crimine, c’era in America ancora chi si lasciava incantare dalle grazie avvenenti di Ruth Snyder, che in carcere riceve addirittura 164 proposte di matrimonio.

Perfino il cuoco della prigione si innamora di lei, e come ultimo omaggio, prima dell’esecuzione, predispone il suo ultimo pasto con infinita cura.

Ma l’estremo saluto di Ruth al mondo è agghiacciante, giustiziata secondo le leggi dello Stato di New York, nell’attimo fatale un fotoreporter riesce a immortalarla in una tragica istantanea che il giorno dopo sarà sulle pagine di tutti i principali quotidiani.

Forse Ruth Snyder, che amava tanto la notorietà, ne sarebbe stata anche contenta.

 

LA BELVA DI VIA SAN GREGORIO di Angelo Longoni – con Annamaria Iacopini

 

Il 30 novembre 1946 Pinuccia Somaschini si reca a casa di Pippo Ricciardi, suo datore di lavoro, per recuperare le chiavi del negozio. Ma al civico 40 di via San Gregorio a Milano la donna scopre un orrendo massacro. Una donna e i suoi tre figli – un maschietto di sette anni, una bambina di cinque e un altro piccolo di dieci mesi – sono stati ammazzati a colpi di spranga: erano la moglie e i tre figli del Ricciardi. Dall’appartamento, letteralmente a soqquadro e invaso dal sangue, mancano solo pochi gioielli. Il movente non può essere stato la rapina. E allora perché commettere un simile scempio? Perché uccidere anche tre bambini? Perché finire a sprangate un piccolino ancora sul seggiolone, ancora incapace di parlare, che non sarebbe certamente stato neppure uno scomodo testimone?

In poche ore il caso è risolto: la belva di via San Gregorio è Caterina Fort, 31 anni, già commessa del negozio del Ricciardi, da tempo sua amante.

Interrogata per 18 ore la donna confessa. Poi ritratta parzialmente le sue ammissioni. Conferma di aver ucciso la moglie di Pippo Ricciardi, Franca Pappalardo, ma nega di aver infierito sui bambini.

Per anni, nonostante la condanna all’ergastolo in tre gradi di giudizio, Caterina Fort, detta Rina, sosterrà la sua versione: in quella casa non era entrata da sola, ma con un fantomatico “Carmelo”, amico di Pippo Ricciardi. Lei aveva ucciso la Pappalardo. Ma i bambini no: lei, Rina Fort, non li aveva uccisi.  

 

L’AMORE NON PERDONA di Massimo Vincenzi – con Francesca Bianco

 

Ruth Ellis (1926-1955) era una ragazza madre dagli abiti troppo scollati e dal trucco troppo evidente che amava il gin, gli uomini, i locali notturni e sognava di abbandonare la sua casa nei quartieri popolari di Londra. Un ragazzo bello, ricco e viziato, pilota d’ auto da corsa e rampollo d’ una famiglia importante. Cinque colpi di pistola in una notte di pioggia scaricati con rabbia contro l’amante David Blakely che non la voleva più vedere, e appena dieci giorni prima, ubriaco, l’aveva picchiata con violenza tanto selvaggia da farle perdere il bambino che portava in grembo. Ci vollero solo ventitré minuti ai giurati del processo per arrivare al verdetto: omicidio volontario. Nessuna attenuante. Condanna a morte per impiccagione. Era il 1955, l’ultima esecuzione in Gran Bretagna. E poi il primo marito di Ruth (ed ex cliente) George che si impiccò pochi mesi dopo la sua morte. E suicidio anche per il figlio André. E l’altra figlia che non smise mai di lottare per difendere il nome di sua madre, ed è morta di tumore nel 2002 a soli cinquant’anni, poco prima di vedere trionfare in tribunale, con l’annullamento della condanna a morte, il lavoro di una vita.

La sua storia è stata raccontata nel film “Ballando con uno sconosciuto” del 1985.

 

L’introduzione è di Alberto Bassetti ed è interpretata da Sebastiano Colla