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“Racconto d’inverno” all’India di Roma Andrea Baracco riadatta Shakespeare

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Dal al 10 febbraio in scena al Teatro India un classico shakespeariano, IL RACCONTO D’INVERNO, per la regia di Andrea Baracco, che intesse sapientemente i temi tipici del bardo rilanciandone l’opera attraverso una rilettura originale. L’adattamento, curato dallo stesso regista e da Maria Teresa Berardelli, vive sulla scena grazie al folto cast dalla Compagnia dei Giovani del Teatro Stabile dell’Umbria. Una favola nera, raccontata da un ragazzino di otto anni, il principe Mamillio, che ha per protagonisti due re, una regina, un vasto gruppo di nobili, un orso affamato, un furfante, una principessa che crede di essere una contadina, un principe che vorrebbe essere un pastore, una dama di compagnia che si mette al posto di un re, una statua di marmo che inaspettatamente prende vita; e poi balli pastorali e feroci processi a corte, morti improvvise e resurrezioni, mari in tempesta e cieli cristallini, tremende gelosie e ravvedimenti improvvisi. «Il racconto d’inverno, insieme a Pericle, Cimbelino e La Tempesta, fa parte dell’ultima fase della produzione shakespeariana – sottolinea Andrea Baracco  Questi testi vengono solitamente definiti come “Drammi Romanzeschi”. Senza voler nulla togliere a questa definizione, mi piace pensare che Il racconto d’inverno sia una favola nera, raccontata da un ragazzino di otto anni […] Se Il racconto d’inverno fosse scritto oggi da un autore contemporaneo, correrebbe il rischio di essere liquidato come un’opera mancata, velleitaria, una specie di pastiche in cui si sovrappongono, in maniera assai poco ordinata, tragedia, commedia, farsa e dramma pastorale. La potenza di questo testo in realtà risiede proprio nel suo non volersi chiudere in un’unica, definitiva forma; nel suo essere una sorta di mostro a tante teste e dalle molte lingue, pieno di spazi bianchi e salti temporali, che obbliga il lettore e quindi poi lo spettatore ad abbandonarsi e lasciarsi sedurre dal gioco favolistico. Bisogna proprio voler ostinatamente credere all’incredibile se si vuole entrare tra le maglie di questo testo incandescente; testo in cui ricorrono molti temi tipicamente shakespeariani ma potenziati o comunque declinati in modo del tutto originale. L’esempio di Leonte è emblematico. Il Re di Sicilia è posseduto dal veleno della gelosia, di certo non meno di quanto lo sia Otello; la differenza, straordinaria direi, tra questi due personaggi, risiede nel fatto che Leonte, a differenza del suo più noto collega, non ha al suo fianco uno Iago pronto ad iniettargli il veleno, ma sembra quasi aver inglobato in sé quello straordinario personaggio; in definitiva Otello e Iago trovano la loro sintesi perfetta in Leonte, “smisurato” protagonista; così come sono smisurati protagonisti tutti gli altri personaggi di questo testo, che donano all’attore quella complessità dell’umano con cui   ha l’obbligo di misurarsi».