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Toni Servillo al Niccolini di Firenze porta in scena “Elvira”, un’apologia del teatro e dell’attore

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Un apologo del teatro, del mestiere dell’attore e della sua missione civile, con il solo sostegno del corpo, della voce e della presenza degli attori, che svelano le alte parole, le sofferte meditazioni e il severo rigore di un maestro del teatro come il francese Louis Jouvet. Perché il pubblico conosca la fatica, il dolore, la tensione che si provano affrontando il palcoscenico, in definitiva la segreta realtà di questi sempre imperfetti messaggeri di poesia e verità.

Al Teatro Niccolini di Firenze, da sabato 18 febbraio a domenica 12 marzo, Toni Servillo presenta in esclusiva regionale Elvira da Elvire Jouvet 40 in cui Brigitte Jacques trascrisse le Sette lezioni di Louis Jouvet a Claudia sulla seconda scena di Elvira nell’atto IV del “Don Giovanni” di Molière tenute nel da febbraio a settembre 1940: un faccia a faccia tra il maestro e una sua allieva, Claudia, chiamata a recitare l’intenso e difficile ruolo di Elvira nel quarto atto del Don Giovanni di Molière, il momento in cui la donna cerca la salvezza per il suo antico amante. L’attore e regista napoletano, accompagnato sul palco dai giovani Petra Valentini (Claudia/Elvira), Francesco Marino (Octave/Don Giovanni) e Davide Cirri (Lèon/Sganarello), interpreta Louis Jouvet. Il testo, caro alla storia del Piccolo Teatro di Milano, che produce lo spettacolo insieme a Teatri Uniti, fu messo in scena da Giorgio Strehler con Giulia Lazzarini nella stagione 1986/87 con il titolo Elvira, o la passione teatrale.

Elvira porta il pubblico all’interno di un teatro chiuso, quasi a spiare tra platea e proscenio, con un maestro e un’allieva impegnati – afferma Toni Servillo – in un particolare momento di una vera e propria fenomenologia della creazione del personaggio. Un’altra occasione felice, offerta dalle prove quotidiane del monologo di Donna Elvira nel quarto atto del Don Giovanni di Molière, consiste nell’opportunità di assistere a una relazione maieutica che si trasforma in scambio dialettico, perché il personaggio è per entrambi un territorio sconosciuto nel quale si avventurano spinti dalla necessità ossessiva della scoperta”.

Siamo quindi di fronte a un’occasione importante per dimostrare, soprattutto ai giovani, la nobiltà del mestiere di recitare, che rischia di essere svilito in questi tempi confusi. Elvira avvolge lo spettatore in un silenzio pervasivo in cui fa risuonare le parole, messe in luce dall’incisiva traduzione di Giuseppe Montesano e scandite da una cronologia precisa che fa susseguire le date delle lezioni, in cui si affrontano il maestro-regista e l’allieva, Jouvet-personaggio e Claudia, nella finzione, ma anche Jouvet e Paula Dehelly, questo il nome reale di Claudia, nella dimensione storica. Ed è nella storia e nella vita che sconfina il teatro, campo d’azione che non si limita al palcoscenico, ma lo travalica per entrare in platea, luogo del regista, in fase di creazione sulla materia viva dell’attore, e del pubblico, anch’esso, in qualche misura, regista e giudice dell’attore. Un pubblico in grado di intuire se l’interprete è capace di accedere alla ribalta, di spingersi oltre la linea di confine, oltre il recinto dell’esecuzione costruita unicamente sulla tecnica.