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Il lungo inverno del 1943 in quella casa del Ghetto

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“Storie di aiuto e solidarietà, coraggio, incoscienza, ma anche tradimenti. Un libro che si legge con passione”. Così ne scrisse Lucetta Scaraffia quando uscì in prima edizione Portico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ’43, di Anna Foa, ora riproposto da Laterza in vista del Giorno della Memoria del 27 gennaio. Non si può che condividere il giudizio di allora. Che cosa accadde nell’ottobre precedente si sa. La razzia cominciò poco prima delle cinque e trenta. Scrupolosamente, gradino dopo gradino, i nazisti salirono le larghe scale di marmo consunte della Casa fermandosi ad ogni porta senza tralasciarne nessuna. Un’antica casa medioevale ormai degradata, un vasto cortile rinascimentale. È qui che il 16 ottobre del 1943 i nazisti arrestano più di trenta ebrei, un terzo dei suoi abitanti, tra i più poveri della Comunità. Sono per lo più vecchi, donne e bambini. Altri quattordici saranno catturati nei mesi successivi. Questa è la storia degli abitanti della Casa e dei nove mesi segnati per gli ebrei romani da oltre duemila deportazioni. Sono presi per strada, nel quartiere del vecchio ghetto da cui non si sono allontanati, nelle stesse case in cui sono tornati, nei negozi, perfino al bar. Li arrestano soprattutto i fascisti, le bande autonome dipendenti direttamente da Kappler mosse dall’avidità della taglia, guidate dalle delazioni delle spie. Tutto può accadere: sono l’avidità e la crudeltà la norma della spietata caccia all’uomo. Quando le spie indicano gli ebrei alle bande, un carrozzone si avvicina per far salire gli arrestati, liberarne alcuni, mandarne altri a morte, a seconda della convenienza e del capriccio. L’arbitrio era re nella Roma di quei mesi. Intorno, il caos più tremendo, nessuna forma di organizzazione, il vuoto, i bombardamenti, la fame, i rastrellamenti, le fosse Ardeatine. Il quartiere è il teatro di questa caccia infinita, un teatro che attira come una calamita i suoi abitanti e i cacciatori, che conoscono le loro prede e sanno come e dove trovarle. Da leggere, per non dimenticare.

E per non dimenticare chi fu strappato dalla sua abitazione e deportato nei campi di concentramento, in questi giorni sono state posizionate a Roma undici nuove pietre d’inciampo. La prima in via Po, a due passi da Villa Borghese. Proprio davanti l’ingresso dell’edificio, al numero civico 42, dove abitava Arrigo Tedeschi, classe 1887, arrestato il 16 ottobre 1943, deportato ad Auschwitz ed assassinato dopo pochi giorni, il 23 ottobre. L’idea dei Stolpersteine (pietre d’inciampo) risale al 1993 quando Gunter Demnig fu invitato a Colonia per una installazione sulla deportazione. Finora in tutta Europa sono state installate oltre 50mila pietre d’inciampo. Perché ciascuno possa inciampare nella storia.

Anna Foa, Portico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ’43, www.laterza.it