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Credi ai tuoi occhi : esegesi di una fragile donna forte al Teatro delle Passioni

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“C’è una sola cosa peggiore del far parlare di sé: ed è il non far parlare di sé”. Queste parole, gridate da un palcoscenico, “scatola” del suo gioco, racchiudono l’essenza di Anita Berber (Consuelo Battiston). Ballerina, modella, poetessa, prostituta, alcolizzata, la Berber è l’incarnazione dell’eccesso proibito della Germania di inizio Novecento, del desiderio ossessivo di libertà, della spasmodica ed estrema ricerca di un’eterna giovinezza.

E’ così che il regista Gianni Farina presenta (al Teatro delle Passioni di Modena fino al 6 marzo, e successivamente all’Arena del Sole di Bologna dal 9 al 20 marzo) questa figura femminile: una donna dominatrice, di una violenza attraente e di una potenza visiva unica.

Ben presto però questa immagine sfuma, il corpo/capitale della ballerina tedesca mostra le proprie fragilità, così come la sua psiche ormai portata al limite.

Perde una scarpa, Anita, nel corso del suo show ammaliatore. E insieme a essa, smarrisce anche le certezze che hanno guidato la sua vita: l’amore per l’apparenza, l’ossessiva ricerca della seduzione, l’idolatria delle passioni la cui repressione fa ammalare l’anima.

Queste convinzioni crollano, e con esse crolla anche quella Berber, quella donna che adora essere conosciuta come scandalosa, quella donna controversa, tagliente e ambiguamente pericolosa.

Il mondo da lei stessa creato le si ritorce contro: il tempo (elemento continuamente scandito nel corso della rappresentazione) è passato inesorabile, la sua sensualità sta sfiorendo, la sua perfezione diventa imperfetta: deve lasciare il passo a una nuova incarnazione di Bellezza. Le creature da lei plasmate (Federica Garavaglia, Giulia Pizzimenti e Sofia Taglioni) sono proprio quelle che la distruggono, prendendone il posto. Giunta alla consapevolezza della propria decadenza, la danzatrice si lascia “spogliare” come una bambina delle vesti di teatrante della vita; ormai tutto ha perso senso per lei, ciò per cui ha sempre combattuto le è sfuggito dalle mani.

“Fair is fool and fool is fair” gridano ossessivamente Anita e le sue tre ormai ex-bambole ballerine si muovono convulsamente sulla scena cupa del cabaret. La giustizia è folle, e la follia è giustizia. La giustezza di abbandonarsi e lasciarsi travolgere dalla potenza delle passioni e delle emozioni, fino ad arrivare alla follia: questo rivendica la ballerina nella sua ultima danza. Le sue energie vitali sono consumate, i suoi legami con il mondo esauriti; ciò che resta è un palcoscenico ornato solamente da tendaggi scarlatti e luci laser rosse, che lentamente si spengono sopra il corpo ormai esanime della protagonista.

E’ la fine dello show, è la fine della sua vita, che si chiude così come era iniziata, con un countdown prima dell’entrata in scena. Un’uscita di scena, in questo caso, che chiude un cerchio: dopo aver irretito centinaia di persone nella sua ragnatela, Anita Berber ha finito per circuire, imprigionare e soffocare sé stessa.

 

Giulia Zanichelli