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“Il libro di Giobbe”, all’Arena del Sole Aldovrandi e Babina interpretano la Bibbia su un campo da tennis

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a stagione 2017-2018 dell’Arena del Sole si apre venerdì 13 ottobre con la prima assoluta de Il Libro di Giobbe, lavoro che Emanuele Aldrovandi e Pietro Babina hanno scritto ispirandosi liberamente all’omonimo testo biblico.

Prodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione, Il Libro di Giobbe si avvale di un bel cast di sei attori diretti da Pietro Babina che cura anche le scene e le luci.

 

Ai numerosi interrogativi che il testo solleva – chi è Giobbe? Il suo tormento è il nostro? Potrebbe esserlo? Perché esiste la sofferenza? – Pietro Babina cerca una risposta sviscerando i linguaggi del presente.

Un interprete dal talento riconosciuto come Leonardo Capuano veste i panni di Giobbe; lo affiancano in scena Fabrizio Croci e quattro giovani attori del cast del fortunato Santa Estasi: Giuliana Vigogna, Alessandro Bay Rossi, Andrea Sorrentino e Barbara Chichiarelli.


Scritto insieme ad Emanuele Aldrovandi, giovane drammaturgo già insignito di importanti riconoscimenti fra cui il Premio Hystrio Scritture di Scena 2015 e il Premio Riccione Tondelli 2013, lo spettacolo deriva lo spunto dal testo biblico, ma ambienta la storia ai nostri giorni: Pietro Babina, uno dei registi italiani più aderenti al contemporaneo che ha contraddistinto il suo ventennale percorso – più volte premiato in Italia e all’estero – con una ricerca attenta sui linguaggi prodotti dalle nuove tecnologie, non può fare a meno di affondare nel presente gli  strumenti di indagine e di rappresentazione.


Giobbe è un tennista che, in seguito ad una pesante sconfitta sul campo da gioco, ricorda di aver perso un figlio; un lutto che lo aveva colpito così duramente da averne causato la rimozione. È quindi Giobbe che innesca un avvincente ragionamento su premi e castighi, su cosa è il bene e cosa è il male, interrogativi universali che arrivano a coinvolgere tutti, come afferma lo stesso Pietro Babina: «Giobbe è sì un uomo colpito dalla sventura ma la sua parabola, credo, non riguarda soltanto coloro che analogamente hanno avuto una grande sventura. Giobbe attraverso la non accettazione del dolore, lamentandosi insistentemente, ribellandosi apre la questione su quale legame esista tra l’esistere e la gestione della nostra esistenza, su cosa significhi esistere. Per questo Giobbe ci riguarda».


Il tutto si sviluppa su una scena con le sembianze in un campo da tennis, gioco che si fa metafora dell’uomo solo che deve affrontare ciò che c’è al di là della rete, sia esso un avversario, sé stesso, il senso o il non senso dell’esistenza. Il piano del gioco costituisce una realtà parallela, prodotta tramite un videogioco dagli altri personaggi che «giocando producono un immaginario dei quali sono gli artefici e in cui vivono – prosegue Babina – ciò che immaginano diviene realtà vissuta. Attraverso questa rappresentazione invocano il suo realizzarsi mettendo in moto un meccanismo di ricaduta nella realtà. L’uomo rappresentandolo invoca l’accadimento. Così i personaggi attraverso una macchina per creare immaginario, ovvero il video gioco, riproducono come atto ludico i luoghi della loro vita ma anche l’insensatezza della morte violenta, della morte insensata, e creano mondi e vite a loro immagine e somiglianza, riproducendo in modo realistico ciò che li ossessiona e li terrorizza. In questo c’è il tentativo di giocare la partita dall’altra parte, in questa sorta di megalomania, si cerca di togliersi di dosso il terrore.

Persino il modo del sogno e della memoria sono forme riprodotte da un gioco, Giobbe gioca il suo sogno che è anche la sua memoria, se nella tradizione antica sono gli dei a inviare agli uomini messaggi e verità attraverso il sogno, ora Giobbe si ritrova ad essere l’artefice di quei sogni in un dialogo chiuso, in un delirio di onnipotenza e nello stesso tempo di disperazione. Attraverso la macchina Giobbe dice a stesso ciò che non riesce a dirsi nella realtà. Il videogioco per quello che rappresenta ci mostra come il nostro immaginare non sia innocuo ma sia in qualche modo l’artefice di ciò che ci accade. Questo introduce il tema di come la figurazione del mondo corrisponda alla sua realtà».

Prima assoluta venerdì 13 ottobre, ore 21

in scena fino a lunedì 16