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Al Vascello va in scena uno scontro tra fratelli, un amore verticale: la colpa e la responsabilità, secondo Dio o secondo Freud

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“GENESIQUATTROUNO. Caino e abele, storia di una fratellanza deviata sono forse io il guardiano di mio fratello?”. In scena al Teatro Vascello, con la drammaturgia e musiche di Gaetano Bruno insieme a Francesco Villano.
È «un lavoro di grande onestà intellettuale». Dice Villano. «Due attori con molta esperienza hanno deciso di investire – spiega ancora l’attore -, perché lo spettacolo è a totale investimento nostro, sia dal punto produttivo sia organizzativo, in un tema comune».
Un gesto di ribellione alla crisi, che abbandona il teatro di commissione. Villano e Bruno hanno creato una compagnia «in un momento difficile».

Perché la storia di Caino e Abele?
La storia è, ovviamente, un punto di partenza; noi due eravamo interessati agli archetipi dei due personaggi. Siamo rimasti colpiti dal discorso che si poteva fare sul tema della colpa e a sulla fratellanza: cioè, prendersi la responsabilità di un’azione. In un momento storico in cui è sempre più difficile cogliere questo aspetto, sia nel micro, ossia nei rapporti umani più intimi che globali, sia nel macro, siamo voluti partiti da questi due archetipi per indagare tutto lo spazio della colpa. E delle conseguenze della colpa.

Sul palcoscenico cartesiano si rappresenta una colpa orizzontale: due bambini che si confrontano con un Dio padre freudiano verticale. Ma perché solo uno dei fratelli alla fine “cresce”?
Come ci insegnano i greci solo attraverso il dolore si capiscono delle cose. Il sacrifico di Abele non sta lì immobile a farci vedere che veniamo da una stirpe violenta; Abele serve come uno strumento di conoscenza. Lo spettacolo non ricalca la Genesi, noi partiamo da un punto già compiuto. Abele è già morto. Nello stesso tempo, però, Abele compare al fratello assassino nella notte, come un Super Io se volete, o come una coscienza o una Erinni, per fargli ricordare l’atto barbaro che ha rimosso.

Uno Shakespeare in tunica greca
Si, è una condanna a ricordare anche i momenti belli. Per parlare di una separazione si deve parlare anche di una unione. I due fratelli giocano come se fossero dei bambini. Si riconoscono attraverso dei rituali, anche nei momenti di noia, che a due fratelli capita di condividere da da piccoli. Il circolo nella scena ricrea la grotta, dove i due bambini giocavano. Dove sentivano la solidarietà da questa grotta, dalla quale Caino non vuole uscire. Si tratta chiaramente di un luogo sublimato.

Un ventre materno dal quale non si vuole uscire. Una ennesima metafora freudiana
Qui l’uomo non vuole riconoscere l’atto che lo ha fatto crescere nell’accezione più negativa del termine: la perdita della sua più intima purezza

Sembra quasi che si possa dire che “cresciamo quando uccidiamo”
Lo spettacolo dimostra che si cresce quandoci rendiamo conto che tutte le nostre azioni hanno delle conseguenze