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Bevo Storti di nuovo alla carica contro il sistema con “Suicidi?”, al Dehon

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Da venerdì 12 a domenica 14 febbraio, feriali ore 21, domenica ore 16 al Teatro Dehon, Tangram, Moviement e Gershwin Spettacoli presentano BEBO STORTI e FABRIZIO CONIGLIO in “SUICIDI?” tratto dal romanzo “3 suicidi eccellenti” del giudice Mario Almerighi, adattamento e regia di Fabrizio Coniglio.

Bebo Storti, attore teatrale e cinematografico, sia comico che drammatico (conosciuto al grande pubblico per la sua partecipazione a programmi come “Su la testa!” e “Mai dire Gol”), da tempo è impegnato in spettacoli di forte impegno civile (ricordiamo per esempio “Mai Morti” e “La Nave Fantasma”, firmati con Renato Sarti). In “Suicidi?” si unisce a Fabrizio Coniglio per raccontare le incredibili vicende di Tangentopoli.
Solo i fatti. Uno in fila all’altro. E poi testimonianze, coincidenze, destini incrociati. Come nei migliori documentari Bebo Storti e Fabrizio Coniglio ricostruiscono sulla scena quel che accadde nel 1993, in piena epoca tangentopoli, a proposito di tre suicidi eccellenti (davvero furono suicidi? È questa la domanda che accompagna la pièce…): Sergio Castellari, direttore generale degli affari economici del Ministero delle Partecipazioni Statali e consulente dell’Eni, Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni, e Raul Gardini, capo indiscusso della Montedison e maggior azionista sempre dell’Eni.
Bebo Storti e Fabrizio Coniglio affrontano un tema difficile come Tangentopoli in maniera ironica e con leggerezza.
In “Suicidi?” siamo di fronte ad un’indagine vera e propria dove sulla scena ci sono un padre e un figlio che giocano ad indagare sui tre casi. Lo spettacolo, che prende le mosse dal libro del giudice Mario Almerighi “3 suicidi eccellenti”, è teatro civile in forma di commedia, ma con dei risvolti inquietanti.
Ecco allora che il palcoscenico si anima di dialetti, dal pugliese al veneto, e uno dopo l’altro scorre veloce davanti ai nostri occhi una galleria di buffi personaggi: contadini, maggiordomi, compagni di cella, parenti, guardie carcerarie, signore romagnole che chiacchierano del più e del meno dal parrucchiere.
Ma perché riattraversare quel periodo? Perché riparlarne? Tutti sappiamo che era uso comune, in quegli anni, il “sistema” delle tangenti; il favore all’amico di partito, al sodale, alla persona “vicina” per ideologia e per appartenenza. Una mafia che si stringe attorno all’idea di Patria, ma che poi fa spreco di denaro pubblico. Una classe dirigente e politica che ha perso, se mai l’ha avuto, il senso dello stato, del “servire il popolo” ma che è invece terrorizzata dal perdere i propri privilegi, dal veder svanire il potere con i privilegi. E così montagne di danaro pubblico vanno in fumo fra gli anni settanta e gli anni novanta, indebitando lo stato, e quindi i cittadini italiani per i prossimi decenni a venire. Riattraversare quel periodo con queste tre vicende è anche un modo per capire che cosa è il nostro paese oggi e cosa continuerà ad essere negli anni, se questo “sistema” non verrà smantellato.