Va in scena al Teatro Vascello dal 15 al 17 maggio “genesiquattrouno – Caino e Abele, storia di una fratellanza deviata, sono forse io il guardiano di mio fratello?”, interpretato e diretto da Gaetano Bruno e Francesco Villano, scritto da Gaetano Bruno.
Il lavoro trae ispirazione dalla nota vicenda di Caino e Abele del libro della Genesi (capitolo 4, versetto 1) della Bibbia e propone una riflessione più che mai attuale sull’amore verso l’altro e su che cosa possa scatenarsi quando il sospetto di non essere più amati si insinua in noi.
In genesiquattrouno l’omicidio è già stato compiuto, la condanna divina pronunciata. Ora si cerca di “riprendere fiato”. I due attori innescano un emozionante duetto e alternando il gioco alla sfida, ci conducono per mano nei luoghi della loro infanzia, fatta di avventure fanciullesche ispirate alla ricerca della libertà e di preghiere inventate ad un Dio, a cui hanno imparato a donare la parte migliore di sé.

Il linguaggio di questo incontro matura in forme diverse nelle differenti stagioni vissute dai due fratelli, nell’infanzia è il corpo a parlare, lasciando spazio al lavoro fisico dei due attori; nell’adolescenza i due fratelli accolgono la parola, nella maturità ne conoscono le insidie e il dialogo si fa affilato e pericoloso.

Tutto cambia quando uno dei due infrange inconsapevolmente il patto di complicità e ubbidisce al padre che li avvia alla vita di adulti.
È lì che si insinua il male per la prima volta nell’animo del fratello tradito: che sente di avere perso per sempre l’amore del compagno di giochi, fino a quel momento ammirato e seguito fedelmente. L’insicurezza che lo avvince, gli rende l’animo sempre più arido e trasforma in rami secchi ogni forma di amore.

Il confronto con il fratello, che prima era motivo di orgoglio e ammirazione, lo spinge alla diffidenza e lo induce a proiettare la propria angoscia su di lui. Pian piano il nostro personaggio comincia a credere di bastare a se stesso: si convince che ciò che ha conquistato sia realmente suo, gli appartenga.

Gli spettatori vengono trascinati in un pathos crescente, che li proietta d’un tratto nel circolo da cui tutto è partito: il luogo dell’inconsapevolezza altro non è che il buio di una grotta, l’incubo ricorrente di un uomo che non riesce ad accettare ciò che ha compiuto.
“Sono forse io il guardiano di mio fratello?” Ripeterà il fratricida che rifiuta di vivere quella responsabilità che ogni uomo ha verso l’altro.
La figura di Caino, in questa libera rilettura di Gaetano Bruno, diventa simbolo delle nostre paure.