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Specchi nel tempo, quando le parole sono di troppo perché basta la musica

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È stata una vera sorpresa l’apertura del ciclo “Specchi nel tempo”. Un momento di vera magia sinfonica, come non se ne sentivano da tempo. Il palcoscenico trasfigurato del Opera di Roma ha accolto un’orchestra, diretta da Dietrich Paredes, in stato di grazia. La bellezza del suono, amplificato dalla splendida struttura del Costanzi ha portato la dolcezza della musica a livelli mai assaporati. La bellezza e l’espressività del suono dei professori dell’orchestra è uscita potenziata da questo splendido momento di vera musica. Il programma di sala ha offerto un ventaglio temporale molto vasto che si è spalancato con Emanuele Casale e il suo “Esercizio sul risveglio”. Un pezzo che, pur con una sua natura tutta raveliana, ha saputo descrivere quel momento limbico nel quale il corpo ancora non si di essere delimitato da un confine e pensa ancora di essere di là, dove il tempo non ha pelle. Ecco, questa musica, nei suoi tratti impressionistici, ha tratteggiato una realtà che non è risultata trasfigurata dai glissando e dai suoni scivolati dell’orchestra, no. Anzi, il delineare un contorno sfumato che, pian piano ha lasciato il posto a una dimensione molto più costruita, ha consentito allo spettatore di poter far evaporare la sorpresa iniziale e lasciarsi guidare verso un snodo più costruito e più “cosale”. I temi del Concerto per pianoforte e orchestra n.2 di Ludwig van Beethoven, perfettamente espressi dalla direzione sorprendente del giovane Paredes sono riusciti a consegnare l’idea della piena completezza di questo concentro. Magico il secondo movimento, un momento di pace mirabolante tra due tempi più che espressivi. Cédric Tiberghien al pianoforte ha fatto brillare la sua tecnica. Con un fraseggio che non ha niente da invidiare ai migliori pianisti, il tocco fresco del suo stile ha mantenuto quella vivacità che il concerto di Beethoven, troppo spesso suonato “a la”, stava andando smarrendo. Il concerto si è chiuso con un trionfo dedicato alla splendida sinergia che è emersa tra il direttore e il corpo dell’orchestra durante la direzione della Sinfonia n.5 di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Paredes, che ha saputo dare prova di padroneggiare un’orchestra romantica, ha però ceduto troppo allo smalto titanico dei timpani che, talvolta, hanno inghiottito i violini, generando un momento di smarrimento. Meritatissimi gli applausi che, così calorosi, sembra abbiano persino stupefatto i professori d’orchestra. Il concerto ha saputo dimostrare che, quando si può usare il suono per poter far avanzare l’umanità, le parole sono solo un orpello intellettuale che rischia di rovinare la magia del tutto.