«Quanto più spirito possediamo tanto più scopriamo bellezze originali». Scriveva Pascal nel suo “Discorso sulle passioni amorose”. Sebbene sia necessario, per forza di cose, una predisposizione spirituale per cogliere anche le più lievi e mobili declinazioni del bello è fuor di dubbio che la Tosca di Puccini, diretta da Donato Renzetti, in scena fino al 13 dicembre all’Opera di Roma sia stata una manifestazione di rara bellezza.
Anche alcune scolaresche presenti, nonostante qualche ritrosia iniziale, si sono dovute abbandonare al silenzio nella sua totalità perché la musica, magistralmente interpretata dall’orchestra tutta, guidata da Renzetti, che ha sottolineato i passaggi melodici della partitura con una maestria singolare, ha fatto degli animi di tutta la platea un ricettacolo di emozioni.
La regia di Alessandro Talevi si è volutamente rifatta a un modello drammatico di impostazione classica, sebbene sia Virginia Tola sia per altri la recitazione è un punto debole. La messa in scena ha voluto riproporre l’allestimento del 14 gennaio 1900, con i costumi di Hohenstein. Un momento di rievocazione di qualità assolutamente perfetta.
I cantanti sono stati tutti, tutti, all’altezza delle performance. Mario Cavaradossi, Stefano La Colla, ha interpretato un Mario al massimo delle sue possibilità. In “Recondita armonia” non ha avuto nulla da invidiare a un Corelli. Giovanni Meoni, Scarpia, riesce a farsi odiare fin dalle prime battute. E nel “Te deum” la perfidia trasversale di un sacerdote della cattiveria viene fuori con tutta la forza che la parte richiede.
Virginia Tola, Floria Tosca, ha una voce di carattere. Da soprano lirico. La sua voce ricca e con un timbro chiaroscurale affascina. Fa difetto la recitazione. Una pecca che va migliorata perché renderebbe il tutto perfetto.