«La leggerezza è propria dell’età che sorge, la saggezza dell’età che tramonta». Scriveva Marco Tullio Cicerone nel suo “Sulla vecchiaia”. E cosa succede, allora, quando la vecchiaia si fonde con la dolcezza della giovinezza?
Lo si scopre, serenamente, andando al Teatro Argentina e guardando: “Leo” di Alberto Nucci e Lorenzo Terranera, in scena fino al 20 febbraio. Una storia delicata, leggera e non superficiale, che accompagna gli spettatori, con la discrezione propria del teatro delle fiabe, nel mondo delicato dell’infanzia.
Molte volte sarebbe più opportuno seguire il consiglio di Joseph Antoine Dinouart e pensare che tacere quando si è obbligati a parlare possa essere segno di debolezza e imprudenza; inoltre, al tempo stesso, si può pensare che parlare quando si dovrebbe tacere potrebbe, invece, essere segno di leggerezza e scarsa discrezione. Comunque la si pensi, di fronte a questo spettacolo non si può non dire che non poteva riuscire meglio. Gli attori celebrano, con grazia, la forma mentis dell’infanzia che non vuole lasciare la terra dell’adultità. Silvia Salvatori, Arcangelo Iannace e Vincenzo de Michele, sono estremamente bravi nel delineare quella linea diagonale, bidirezionale, che li porta a essere sia adulti sia bambini in pochissimo tempo.
La regia di Francesco Frangipane, educata e mai eccessiva, affiancata da un sapiente gioco di luci di Giuseppe Filipponio, fa emergere il lato fanciullesco degli attori, costretti a giocare fisicamente sul palco con delle macchine fantastiche, frutto della fantasia del pubblico, che partecipa vivo ai voli pindarici del bambino che viene evocato dentro di loro.
Ma la star è senza dubbio Beatrice Fedi. Androgina elegante con un cuore di bambino, che scalpita per tornare a prendere il volo con un pezzo di legno. Leonardo da Vinci non potrebbe essere più soddisfatto.
Tra il pubblico, per certo, saranno stati presenti adulti di grande intelligenza, ma anche profonda superficialità. Insieme a questi, ci saranno stati anche ragazzi attenti e bambini svogliati; ma tra tutti questi, non sarà stato difficile trovare chi abbia provato un dolore autentico, indiscutibile, che lo ha reso capace di «rendersi serio e forte, sia pure per poco tempo». Nonostante un animo fenomenalmente leggero. Così, perlomeno, direbbe Fëdor Dostoevskij.
Il perché del dolore? Lo scoprirete guardando la storia.
La Fedi, misura per misura, è seducente con una grazia assoluta. E ci si chiede «come mai sia possibile che la modestia seduca i nostri sensi più che la leggerezza della donna». A questo non si può dare una risposta, si rischierebbe la banalità. Nonostante questo, si può essere sicuri nel dire che lo spettacolo su questo delicato Leonardo da Vinci, genio sofferente, deve essere visto. Assaporato e vissuto.