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“Così è se vi pare” di Pirandello al Ghione di Roma

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Quando porti in scena un autore come Luigi Pirandello, devi fare i conti con la Storia del teatro italiano e non solo. Ci deve essere il rispetto per l’autore e le sue parole, per la storia e i personaggi, ma c’è anche la voglia, da regista, di fare tua la poetica del copione e riproporla con il proprio sguardo. E’ quello che mi è successo rileggendo “Così è (se vi pare)”, commedia che ha visto il suo debutto assoluto nel giugno del 1917 e che da allora è stata una delle più rappresentate del repertorio del drammaturgo siciliano. Perché? Cos’ha di così particolare questa commedia per cui ha attraversato più di un secolo di storia teatrale e non sembra conoscere tramonto? Sono convinto che la sua forza si basi sul meccanismo del mistero che impernia i tre atti che compongono la commedia e si sa, il mistero intriga ogni spettatore. Però c’è di più: c’è la manipolazione della verità, c’è il credere una cosa per poi essere subito smentiti e sorpresi, c’è l’affezionarsi all’uno o all’altro, al Signor Ponza o alla Signora Frola, i due personaggi che muovono la storia, raccontando ognuno una propria verità per dar conto, agli altri personaggi, di come vivono la loro vita. Ed è qui che il meccanismo geniale di Pirandello si fa gioco teatrale, capovolgendo per tre volte di seguito la percezione della verità per i personaggi che fanno le domande e per il pubblico che guarda. C’è però un’altra cosa che mi è saltata agli occhi in maniera netta e mi ha affascinato quando ho riletto il copione e cioè il fatto che i personaggi del Signor Ponza e della Signora Frola sono stranieri in una terra che deve accoglierli. Il Signor Ponza e sua suocera, la Signora Frola, hanno perso tutto a causa di un terremoto e così sono costretti ad emigrare in una qualunque provincia italiana. Qui ricominciano la loro vita e mentre quella pubblica è accettata, il Signor Ponza ha trovato lavoro alla Prefettura ed è un ottimo impiegato, lo stesso non si può dire della loro vita privata. Il Signor Ponza infatti vive con la moglie, la figlia della Signora Frola, in una casa fuori città, mentre in città ha preso in affitto un appartamento per la suocera. Nessuno ha mai visto la moglie del Signor Ponza perché lui la tiene chiusa in casa e la madre è costretta, per vedere sua figlia, a recarsi sotto al balcone della casa dove vive e aspettare che la figlia si affacci per poter comunicare attraverso dei biglietti calati con un paniere, senza nessun tipo di contatto. Questo modo di vivere desta la curiosità della comunità che inizierà una specie di velato processo per capire i motivi di tante stranezze. Ecco che gli altri personaggi diventano così un’inquisizione della morale ed emblema di quella borghesia che Pirandello mette sotto la sua lente critica di autore. Una borghesia che incarna la mostruosità di una società ipocrita, feroce e pronta ad additare e sbranare chi non si omologa. Una società che ha la necessità di concentrarsi sulle vite degli altri per la paura di guardare le proprie mancanze e i propri fallimenti. Sta proprio qua, secondo me, la grande attualità del testo. Inoltre le tematiche pirandelliane come la verità, la follia e l’essere altro da ciò che si rappresenta, in questo copione sono mostrare in tutta la loro forza e messe al servizio di una storia che appassiona e cattura dalla prima all’ultima parola.(