«Chi dice donna, dice danno / chi dice femmina, dice malanno / chi dice Olimpia Maidalchina, dice danno malanno e rovina». È una delle perfide pasquinate che il popolo romano dedico’ a Donna Olimpia, la “Papessa”, una delle persone forse più odiate della Roma dei suoi tempi. Di lei, naturalmente, si disse che fosse l’amante di papa Innocenzo X, che peraltro era suo cognato. Questa sembra sia stata una semplice maldicenza. L’avidità e la sete di potere sembra invece fossero vere. Quando morì di peste a San Martino al Cimino nel 1657, a 63 anni, Olimpia lasciò in eredità 2 milioni di scudi. Non pochi. Buona o cattiva che fosse, Donna Olimpia oltre agli scudi ha lasciato ai posteri un gioiello di architettura, San Martino al Cimino, appunto, un borgo allora quasi abbandonato di cui il papa cognato la fece Principessa. Ancora oggi chi va a San Martino trova sovraimpressa sui cartelli stradali la scritta “principato”. Nostalgia popolare di un grande passato, per un piccolo centro immerso in quella che fu la Selva Cimina, che nel 1928 dovette rassegnarsi anche a perdere l’autonomia comunale per diventare semplice frazione della città dei Papi, Viterbo. Ma che conserva i suoi privilegi architettonici e naturali. Da San Martino, con il cielo terso, lo sguardo può spaziare fino al Tirreno, fino al Monte Amiata. Il grande passato si deve tutto a Olimpia. Il borgo era sfiorito dopo l’abbandono dell’abbazia creata dai monaci cistercensi di Pontigny nel XIII secolo. Rimanevano rovine. La principessa utilizzo’ tutte le influenze accumulate a Roma per farne un gioiello. Fece intervenire anche il Borromini. Restauro’ completamente la chiesa, dove è sepolta, aggiungendovi due torri come contrafforti. Fece costruire un palazzo sulle rovine delle strutture monastiche e vegliò anche sulla ricostruzione e riorganizzazione del borgo, che andava dalla porta di levante (direzione Roma) a quella occidentale (direzione Viterbo), affidando all’architetto militare Marc’Antonio de Rossi il disegno delle mura perimetrali, delle porte e delle abitazioni, non dimenticando altre strutture pubbliche quali lavatoi, forni, macelli, teatro e piazza pubblica. Ecco il “borgo ellittico“. Olimpia Maidalchini vedova di Pamphilio Pamphilij, sposato vecchio e squattrinato, fece costruire una città modello. Gli studiosi la definiscono un esperimento urbanistico ante litteram. I costruttori del palazzo di corte furono gli stessi che poi acquistarono le case a riscatto, costruite attorno ad esso: i primi esempi di costruzione pianificata. Le casette, tutte uguali, addossate le une alle altre e alla cinta muraria, ospitavano i sudditi. La Principessa aveva esentato dal pagamento delle tasse, voleva essere benvoluta creando attorno a sé un nutrito stuolo di sudditi, al punto di stabilire una dote alle ragazze che dopo il matrimonio avessero scelto di rimanere nel paese. E a San Martino, grosso modo, a parte le doti, le pietre sono ancora tutte come le fece disporre la Principessa. Come città ideale può competere con la toscana Pienza. Che però fu immaginata da un Papa, Pio II, non solo da una Papessa. Da vedere.