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Il tedesco levantino che tentò di salvare gli ebrei di Roma

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Eitel Moellhausen

Lo chiamavano il “levantino”. Era giovane, elegante, di modi cortesi. Cortesi – forse melliflui – al punto di riuscire a destreggiarsi con successo tra le forze in campo nella Roma del passaggio di regime, tra il crollo del fascismo dopo il voto del Gran Consiglio, le incertezze dei mesi badogliani, la fuga del Re, la temporanea rinascita repubblicana del fascismo, e tedeschi occupanti. Non era facile, e forse la storia di questo trentenne tedesco ma non hitleriano meritava un film. Per ora ha meritato la biografia scritta da Donatella Bolech Cecchi per Rubbettino: Eitel Friedrich Moellhausen. Un diplomatico tedesco amico degli italiani (1939-1945). Tedesco di passaporto, ma sicuramente levantino nel carattere oltre che per nascita, il giovane Eitel. Che vede la luce a Smirne nel 1913, da padre germanico e madre francese. Una famiglia di commercianti, dalla quale apprende sì il tedesco, ma anche il francese e il greco come lingue madri. L’essere poliglotta gli consenti, rientrato in Germania con la famiglia, di accedere – senza essere iscritto al partito nazista – alla “Kultur und Informations Abteilung”, la struttura di propaganda creata dal ministro degli Esteri von Ribbentrop. Come interprete, nella sostanza. Ma Eitel è bravo e “diplomatico”. Inviato a Parigi crea il giornale collaborazionista “La Gerbe” con lo scrittore Alphonse de Chateaubriant: un successo. Poi il Medio Oriente e in Nord Africa, fino all’approdo a Roma. Dove assiste al crollo del fascismo, e forse lo intuisce prima di altri. È in quella Roma scossa dagli eventi che riesce a dare il meglio di sé, destreggiandosi tra poteri contrastanti e, in fondo, difendendo in qualche modo come può gli italiani dalle prevaricazioni dei compatrioti. Ormai diplomatico a tutti gli effetti, è a capo del Consolato Generale tedesco nella Capitale, in stretto contatto sia con l’Ambasciata del suo paese, sia con i comandi militari, sia con il Ministero degli Esteri italiano, affidato da Mussolini al sottosegretario Mazzolini, trasferito a Salò, ma che conserva a Roma gran parte degli uffici e del personale. Nella sua veste tenta anche si salvare gli ebrei romani dalla deportazione. Lo fa il 7 ottobre 1943 con un inusuale telegramma inviato direttamente a von Ribbentrop: “L’Obersturmbannfuhrer Kappler ha ricevuto da Berlino l’ordine di catturare gli 8 mila ebrei residenti a Roma e di trasportarli nell’Italia del nord dove dovranno essere liquidati. Il comandante di Roma, generale Stahel, mi comunica che consentirà questa azione solo se rispecchierà le intenzioni del signor Ministro degli Esteri del Reich. Personalmente sono del parere che sarebbe meglio impiegare gli ebrei per opere di difesa, come a Tunisi, e insieme con Kappler farò questa proposta al feldmaresciallo Kesselring. Attendo indicazioni.” Il tentativo non riuscì, come purtroppo è noto. La razzia del ghetto fu effettuata come programmato il 16 ottobre. Ma per questo Eitel Moellhausen rischiò certamente la vita. Tuttavia la sua resta una figura resta enigmatica, come sottolinea Luigi Vittorio Ferraris nella prefazione al volume: “Nell’affascinante racconto emerge la capacità eccezionale di Moellhausen di muoversi in uno spazio politico e personale infido e pericoloso. La sua condotta è scevra di considerazioni ideologiche, mentre non traspaiono espliciti accenni di rivolta etica nei confronti di un sistema di governo iniquo, che certamente non approvava, ma cui si adattava”. “E allora ci si chiede chi fosse e in che cosa credesse Moellhause – che su quegli anni ha lasciato il volume di memore “La carta perdente” – , uomo di mondo e con gioia di vivere, colto e superficiale e tempo stesso estremamente razionale senza inclinazione a porsi problemi o quesiti etici”. Salvo forse quel telegramma. Che altri non avrebbero inviato.image

Donatella Bolech Cecchi, Eitel Friedrich Moellhausen. Un diplomatico tedesco amico degli italiani (1939-1945), www.rubbettinoeditore.it