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“La scomparsa di Majorana” al Palladium la prima nazionale dal romanzo di Sciascia

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Un’indagine poliziesca, un thriller a orologeria, un sogno a occhi aperti. È “La scomparsa di Majorana”, in prima nazionale al Teatro Palladium da giovedì 21 a domenica 24 marzo, ispirato all’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia in scena nel trentennale della sua scomparsa. Guidati dalla regia di Fabrizio Catalano – nipote del grande scrittore di Racalmuto – salgono sul palco Loredana Cannata, Alessio Caruso, Roberto Negri e Giovanna Rossi per ripercorrere la vicenda della presunta morte avvenuta nel 1938 del giovane e promettente fisico siciliano Ettore Majorana.

Partito in nave da Palermo ma apparentemente mai approdato a Napoli, lo scienziato, chiuso in sé stesso e concentrato su studi di cui non parlava con nessuno, aveva forse intuito prima d’ogni altro la strada per la creazione di una devastante arma nucleareNe era rimasto atterrito, e aveva voluto estraniarsi dal mondo prima che questo precipitasse nel baratro dell’era atomica. Questa, almeno, è la tesi di fondo di Sciascia, che a Majorana e al suo dramma interiore ha dedicato uno dei suoi libri più illuminanti.

Poco alla volta, emergeranno i tormenti di un genio che avrebbe potuto cambiare il destino dell’umanità, e che invece ha preferito essere un ragazzo schivo, per nulla competitivo o in cerca della gloria. Spesso isolato, con rarissimi amici. Alcuni di questi, nella Germania che nel ’45 ha appena perso la guerra. Ciò ha alimentato, nei decenni successivi, la detestabile ipotesi che Majorana avesse simpatie naziste. Non le aveva – le sue lettere in proposito sono abbastanza chiare – come non le aveva Heisenberg, che di Majorana era stato mentore e giuda nell’ambiente dell’Università di Lipsia, dove si discuteva di fisica come di filosofia e dove Ettore era davvero a suo agio.

Una notte d’agosto del 1945, una località italiana che non viene mai definita, le rappresaglie dei partigiani, il caos. Uno studio, in un ospedale di provincia; una donna che, dopo aver ucciso da partigiana, è tornata a indossare il camice bianco: per medicare, per guarire. Un uomo, avvolto in una tunica da certosino, che rifiuta di rivelare la propria identità. Un commissario di pubblica sicurezza che crede di riconoscere, nei tratti del monaco, quelli di Ettore Majorana, al quale invano ha dato la caccia per tanto tempo. Laura Fermi, la moglie dell’illustre premio Nobel, chiamata a identificare il giovane scienziato dileguatosi nel nulla.

Questi quattro personaggi, per tutta la notte, oltre l’alba, fino al tragico scioglimento dell’enigma, daranno vita ad una sorta di processo: dove l’intruso si trasformerà da imputato in accusatore, da inquisito in voce della coscienza.

In una stagione come quella che stiamo vivendo, caratterizzata dallo sfaldamento dei valori morali, dall’esaltazione dell’ego, dall’ansia del profitto e dalla deriva della scienza, è necessario rievocare figure come quella di Ettore Majorana. E il senso della vicenda di Majorana è che non c’è futuro per l’umanità senza l’etica, senza la sincerità, senza la poesia. Il teatro deve diversificare la propria offerta e accendere il dibattito, stimolare domande e riflessioni, suggerire idee e punti di vista inediti. Deve calarsi nella realtà: Una storia vera come quella di Majorana – il tormento struggente di un individuo che vorrebbe salvare il pianeta dalla catastrofe – è al contempo un susseguirsi di emozioni e un monito per l’avvenire. Ognuno di noi può compiere un piccolo gesto, per proteggere l’umanità dall’autodistruzione. Ognuno di noi ha il diritto e l’obbligo di farlo”.  Fabrizio Catalano