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La sostenibile necessità di andare avanti, Pasolini e il teatro

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Cosa Pasolini possa ancora dire agli italiani è un mistero. La risposta è, già di suo, ideologica. Come ideologico è tutto ciò che compete proprio PPP.
Al Vascello di Roma, in scena “Porcile” regia di Valerio Binasco, si cerca di proporre una lettura che rimanga sì sul solco della presentazione politica del poeta civile ma non solo; la proposta poetica di Pasolini, a volte troppo politica, viene limata per mettere in scena un dramma borghese che sta tra “il gabbiano” di Cechov e il dramma sociale.
La classica prospettiva della borghesia infantile è ancora così veritiera? Così onesta? Siamo davvero così? No. Non lo siamo più. Davvero si pensa che l’analisi si un privilegio di classe? No. È qui è il problema: credere che Pasolini sia ancora oggettivamente presente. Non lo è più. Pasolini non è più presente. E continuare a proporlo come un vate della contemporaneità è una lettura pretestuosa e che rifiuta l’idea stessa di progresso. È un paradosso, eppure è così, che i progressisti culturale siano diventati i meno progressisti che mai.
Nello spettacolo la famiglia è sfilacciata, protesa su un abisso nientificante che era vero ieri come oggi. Le donne, chiavi di lettura ondivaghe sullo stesso argomento, cioè sul figlio-maschio che si contendono, sono castranti entrambe. Cosa che oggi è un passo superato. E anche i personaggi maschili non sono archetipi, ma macchiette antropologiche.
Il solo elemento che possa essere ancora valido per i nostri giorni è la pericolosa declinazione intellettuale che i maiali si sono dati. Questa oscillazione mentale apre il varco all’incerto morale, al fatto che, superato il concetto di banalità del male, si apra l’universo semantico dell’ambiguità del bene.
Ecco, su questo Pasolini può ancora dire qualcosa. Ma è necessario rimodulare e ricondurre al vero un personaggio come questo, perché di lui è stato detto tutto, su di lui troppi sciacalli hanno mangiato e troppi, ancora, ci stanno pontificando.