Il 2 novembre debutta in prima nazionale Le serve di Jean Genet con la regia di Andrea Piazza, in scena Monica Bonomi, Giulia Amato, Maria Canal.
Claire e Solange sono due cameriere modello al servizio di una ricca Madame, ma ogni volta che la donna esce di casa le due ragazze iniziano a giocare alla serva e alla padrona. Un giorno, però, il gioco non si interrompe e inizia a sovrapporsi alla realtà, sovvertendola.
Tre donne in scena, due serve e una padrona, in apparenza. Tre persone prigioniere dei limiti che esse stesse e la società hanno contribuito a creare. Ispirata a un sanguinario fatto di cronaca, la favola nera di Jean Genet ci parla con una forza senza pari in questo periodo che ha visto ognuno di noi sacrificare parte della propria libertà per il bene comune e che ora vede i membri più deboli ed esposti della società guardare in un futuro pieno di incertezze. Il nuovo allestimento del Teatro Out Off vuole entrare all’interno dei tre personaggi, per dare corpo e voce alle gabbie che li tengono prigionieri: la domanda oggi non è più se siamo costretti in delle prigioni invisibili, ma se abbiamo il coraggio di superarle.
Lo spettacolo vedrà impegnati nella composizione delle musiche di scena gli allievi di Alessandro Ponti dell’IRMus (istituto di ricerca musicale) della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado. Questa nuova produzione del Teatro Out Off sarà un’occasione importante per continuare il rapporto di collaborazione con la C.S. Paolo Grassi con cui è stato realizzato nel 2018 e 2019 “Nuovi Incroci” la rassegna di spettacoli diretti da giovani registi del secondo anno del corso di regia, su testi di autori europei contemporanei emersi dal progetto FabulaMundi. Proprio in questo contesto è stato individuato il regista Andrea Piazza che aveva presentato “Non rimpiango nulla” del rumeno Székely Csaba.
Ispirato a un fatto di cronaca che negli anni ’30 sconvolse la Francia, quando una ricca signora venne atrocemente uccisa con la figlia dalle due domestiche di casa, la spietata e viscerale favola nera di Jean Genet, nella viva e precisa traduzione di Franco Quadri, ci parla con una forza senza pari in questo periodo che ha visto tutti noi sacrificare parte della propria libertà per il bene comune e che vede ora i membri più deboli ed esposti della società, soprattutto i giovani, guardare in un futuro pieno di incertezze. I tre personaggi di Genet sono animali cresciuti in cattività che aspettano tremanti davanti alla porta aperta, sono gli esseri accecati e terrorizzati dal sole all’uscita dalla caverna platonica: in scena assistiamo alla radicale e dolorosa impossibilità di uscire dai limiti che la società ha imposto loro e che essi stessi fanno di tutto per consolidare. Un’impossibilità che sconfina in una tragica e forse inevitabile autodistruzione.
Per citare Janis Joplin, “It’s hard to be free”: in quanti modi ci neghiamo la possibilità di vivere la libertà? Andrea Piazza