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“Mistero buffo” di Dario Fo al Brancaccino di Roma

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Ugo Dighero rivisita nella sua chiave personale due grandi monologhi di Dario Fo: “Il primo miracolo di Gesù bambino” e “La parpàja topola”. Tra i più famosi del repertorio di Fo, questi due brani uniscono un grande divertimento a un forte contenuto, il tutto condito con la leggerezza e la poesia tipici dei racconti dell’autore italiano più rappresentato nel mondo. Il ritmo incalzante e l’interpretazione simultanea di tutti i personaggi delle due storie consentono a Dighero di mettere in campo le sue brillanti capacità attoriali, dando vita a una galoppata teatrale che lascia senza fiato.

“Il primo miracolo di Gesù Bambino” è tratto dallo spettacolo “Storia della tigre e altre storie “del 1977. Dario Fo costruisce questa storia prendendo spunto dai “Vangeli apocrifi”, quell’insieme di storie legate alla vita di Gesù e degli apostoli, che furono alla base di tutta la letteratura paleocristiana. Il vangelo apocrifo dal quale è ricavata la storia è quello detto “protovangelo”, cioè quella parte dei vangeli in cui si narra della vita di Gesù Cristo dalla fuga in Egitto fino al momento in cui torna nel deserto Durante la fuga in Egitto Gesù, Giuseppe e Maria si fermano a Jaffa, dove vagano per la città cercando lavoro. Gesù rimane da solo in mezzo alla strada e tenta di fare amicizia con i ragazzini del posto per giocare con loro. Purtroppo, viene deriso in quanto “foresto”, un povero emigrante figlio di emigranti che parla un dialetto incomprensibile. Gesù si trova nella condizione del “diverso”, cerca di vincere il rifiuto che gli altri ragazzini gli oppongono e, pur di farseli amici, di riuscire a giocare e ridere con loro, decide di compiere un piccolo miracolo. Subito i bimbi entusiasti lo eleggono “capo dei giochi”, ma quel divertimento assurdo e fantastico viene distrutto dall’antipatico figlio del padrone della città.

“La parpàja topola” è tratto da “Il fabulazzo osceno” del 1982. Narra di un giovane e sempliciotto capraio, Giavan Pietro, divenuto improvvisamente ricco per le ricchezze lasciategli in eredità dal suo padrone. Costui, unico contatto umano di Giavan Pietro, soffriva di una specie di idiosincrasia per le donne ed era in sostanza un misogino paranoico. Il povero pastore, terrorizzato dai racconti del padrone, appena vedeva apparire delle ragazze si andava a nascondere, accucciandosi in mezzo alle pecore. Ovviamente la notizia della sua ricchezza si diffonde velocemente e il poveretto si trova circondato da aspiranti spose. Tra tutte ha la meglio Alessia, che con la sua bellezza vince le paure di Giavan Pietro. La splendida ragazza non disdegna i favori di Don Faina sotto lo sguardo compiacente della madre. Quest’ultima obbliga il prete a trovare un marito alla ragazza prima che sia troppo tardi ed ecco entrare in gioco il giovane, ricco pastore. La prima notte di nozze tutto viene combinato perché il povero Giavan Pietro rimanga a bocca asciutta e faccia posto al prelato, ma l’ingenuità del capraio tocca a tal punto il cuore della ragazza che tutto si conclude in suo favore trasformando il tema “osceno” della storia in una favola poetica di grande purezza e di altissima poesia.

“Per interpretare Mistero buffo bisogna fare ricorso a tutte le tecniche, usare le maschere della commedia dell’arte. Si entra e si esce velocemente da tutti i personaggi (a volte tre o quattro in scena); è un arzigogolo virtuosistico in cui si deve essere veloci e preparati. Una volta che si riesce a gestire tutto questo, è come sedersi al volante di una Ferrari che bisogna saper guidare, ma va che è una meraviglia! È un cavallo che galoppa in maniera forsennata. Quando si riesce a starvi sopra è un godimento per chi interpreta e spero anche per chi ascolta”