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Baroni e non solo. La storia degli altri Mille, quelli del Papa Re

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Non è nostalgico del Papa Re, questo Con l’Italia mai! La storia mai raccontata dei Mille del Papa. Che poi non erano solo mille. Non sarebbe nello stile di Alfio Caruso, storico di stampo montanelliano. È che, come sempre accade, la storia per lungo tempo viene scritta dai vincitori, e la retorica del Risorgimento si è diffusa come melassa per molti decenni, complici – convintamente – fior di intellettuali. Dall’altra parte, altrettanto a lungo, non è rimasto altro che celebrare con le lacrime agli occhi il bel tempo che fu, sia in uno Stato Pontificio fuori del tempo e della ragione, sia, per dire, in un Regno delle Due Sicilie scioltosi come neve al sole, nonostante gli eroismi dei resistenti di Messina, Civitella del Tronto e Gaeta, dove rifulge non la figura scialba di Franceschiello, ma quella intrepida della regina Maria Sofia, nata di Baviera, che su quei contrafforti avrebbe preferito essere ferita, magari “leggermente”. In mezzo c’è l’enigmatico Pio IX, il marchigiano Giovanni Maria Mastai Ferretti, il Papa che passa dall’apertura alla modernità alla strenua difesa del potere temporale, al Sillabo, all’infallibilità pontificia, ma solo ex cathedra grazie alla prudenza dei gesuiti, al caso Mortara. Dal dogma della verginità di Maria al lancio della Lourdes dei miracoli. Un Papa in fondo amato da molti dei suoi sudditi, che nell’Italia non vedevano alcun beneficio, mentre vedevano l’offesa al Vicario di Cristo. Il Papa Re di un regno arretrato e depresso, che riuscì – per fare un esempio – a costruire solo due tronchi ferroviari, da Roma a Civitavecchia e a Velletri. Comunque un Papa simbolo, capace di chiamare a raccolta a difesa del suo Stato e della Chiesa il meglio del cattolicesimo non solo europeo. Alfio Caruso alza così il velo su vicende complesse, senza indulgere a retoriche di parte. E sarebbe stato facile. “Non erano mercenari, né ladroni – chiarisce Caruso – coloro che nel decennio dal 1860 al 1870 impugnarono le armi per difendere Pio IX. Erano principi, conti, marchesi, duchi, baroni. Provenivano dalla Francia e dall’Austria, dalla Germania e dalla Spagna. Li univa un forte sentimento cattolico e una discreta avversione nei confronti della nuova Italia, secondo loro in mano alla massoneria? Poi c’erano soldati di ventura olandesi e tedeschi attratti dal discreto soldo, irlandesi venuti a Roma in odio all’Inghilterra protestante, canadesi obbligati dai vescovi. Dal 1860 al 1870 costituirono il nucleo principale dell’esercito del Papa. E nell’anno di porta Pia ne arrivarono un migliaio sicuri di ripetere le prodezze di Mentana. C’era anche chi fuggiva dai guai con la legge come l’americano John Surratt accusato a Washington, assieme alla madre già impiccata, di aver partecipato alla congiura contro Lincoln. A loro si unirono tanti emiliani, toscani, marchigiani, laziali cementati da un odio profondo per l’unità d’Italia e convinti che l’unica forma di Paese accettabile potesse coagularsi sotto l’egida del pontefice. Non solo nobiltà nera, che in parte voleva l’Italia unita. E per molti la fedeltà non venne meno con la sconfitta. Per fare un esempio, come ricorda Caruso, il “marchese Aldobrandino Rangoni Santacroce non riconosce né Vittorio Emanuele quale legittimo sovrano né la bandiera tricolore quale simbolo nazionale. Nelle solennità ponteficie continuerà a sollevare la bandiera papale”.
Tante storie in una storia vera, da leggere come un romanzo.

Alfio Caruso, Con l’Italia mai! La storia mai raccontata dei Mille del Papa, www.longanesi.it