Vantaggi e svantaggi di un Centenario moltiplicato per tre. Perché della Grande Guerra c’è il Centenario europeo e mondiale (1914-2014), quello italiano (1915-2015) e infine quello terminale (1918-2018). Un Centenario così diluito per forze di cose finisce col perdere mordente. Ma d’altra parte ha dato e da ancora il tempo di studiare, approfondire, capire, senza l’urgenza specifica, anche editoriale, di cogliere la “Data”. Le iniziative sono state molte, e probabilmente molte ancora verranno alla luce. Tra queste, ottima la decisione del Ministero dell’Istruzione, dell’Universita’ e della Ricerca di dar vita – indirizzato agli studenti ma anche ai docenti – al portale www.lagrandeguerraperlascuola.it. Il progetto nasce da un’idea di Ernesto Galli della Loggia (Istituto Italiano di Scienze Umane, Università di Pisa), Giovanni Belardelli (Università di Perugia) e Adolfo Scotto di Luzio (Università di Bergamo), che lo hanno realizzato con il supporto di Silvia Capuani. Un lavoro importante, meticoloso, che offre una documentazione difficilmente reperibile e consente di avere un quadro completo ed esauriente dei fatti, delle tendenze, delle opinioni dell’epoca. Materiali preziosi, contenuti in tre volumi: Il mondo nella tormenta, curato da Scotto Di Luzio; La Grande Guerra degli italiani, curato da Giovanni Belardelli; La pace, il lutto, la memoria, curato da Galli della Loggia. C’è solo un però. La scelta francamente incomprensibile di confinare questo lavoro solo nella versione digitale. I volumi cartacei esistono solo in pochissime copie fuori commercio. Forse una copia per ciascuna biblioteca scolastica e universitaria non avrebbe guastato. E un mercato extrascolastico probabilmente ci sarebbe stato. L’immortalità di internet e’ a un tempo reale ma teorica. Che ne sarà del portale quando il lungo Centenario sarà archiviato?
La guerra degli intellettuali, di Giovanni Belardelli
(passim, da vol. II, cap. V)
Nell’agosto del 1914 non andò in frantumi soltanto l’Internazionale dei lavoratori. Lo scoppio del conflitto lacerò anche l’«internazionale» della cultura, cioè la rete di rapporti – improntati alla collaborazione e alla stima reciproca – che legava tanti esponenti della vita intellettuale europea. Quella del 1914-18, infatti, fu una guerra totale anche perché, in ciascuno degli Stati belligeranti, la maggioranza degli intellettuali – dai professori di scuola e d’università ai rappresentanti delle avanguardie artistiche – si trovò impegnata direttamente a sostenere non soltanto le buone ragioni del proprio paese, ma la superiorità etica della guerra che esso stava combattendo. In questa «guerra dello spirito», come venne chiamata, i primi a dare fuoco alle polveri furono i professori universitari tedeschi che nella quasi totalità (il 90%) sottoscrissero, nell’ottobre 1914, una dichiarazione secondo la quale «il destino dell’intera cultura europea» dipendeva dalla vittoria della Germania. Peraltro, già l’8 agosto il filosofo francese Henri Bergson aveva usato un argomento analogo, sia pure a parti invertite: «La lotta intrapresa contro la Germania è la lotta stessa della civilizzazione contro la barbarie». La Grande Guerra determinò insomma quell’asservimento della cultura alle ragioni della politica che avrebbe poi caratterizzato la storia successiva del continente, con il sostegno e la collaborazione che tanti intellettuali assicurarono alle dittature del Novecento. Con pochissime eccezioni (cfr., per il caso di Benedetto Croce, il par. 2, doc. 2.5 di questo capitolo) la guerra apparve anche a una gran parte degli intellettuali italiani non solo come il modo per completare l’unità nazionale, ma anche come l’occasione per uscire dalla dimensione prosaica e negativa della civiltà industriale, la via per riscoprire i valori dello spirito conculcati dalla civiltà borghese. L’esaltazione della guerra per la civiltà contro la «barbarie tedesca» (cfr. cap. 4, par. 4, doc. 4.1) trovò anche in Italia molti seguaci. Spesso queste idee si infransero contro la realtà di un conflitto lungo e assai costoso in termini di vite umane; gli entusiasmi iniziali lasciarono così il posto alla disillusione.
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