Tra i tanti, un passaggio del Marchese del Grillo di Monicelli (e Sordi, perché senza Sordi non sarebbe stato lo stesso film) resta nella memoria. Quello in cui Onofrio dileggia i pittori che secondo tradizione altro non fanno che “fotografare” la campagna romana, con le sue rovine, le sue mucche, le sue pecore… Che piacevano tanto anche agli stranieri. Fa ridere, ma in realtà, ex post, quegli artisti ripetitivi (ma non sempre mediocri) consentono oggi di sapere come fosse l’Italia di ieri. Quell’Italia Italia dipinta che ritroviamo nel volume della storica dell’arte Anna Ottani Cavina per Adelphi: Terre senz’ombra. “Per lungo tempo- sottolinea la nota editoriale – la storia è stata raccontata così: fra Sei e Ottocento, gli artisti europei arrivavano (più o meno obbligatoriamente) in Italia, dove a contatto con un paesaggio ancora simile all’Arcadia, e con le maestose rovine della civiltà classica, trovavano il senso di un mestiere che avrebbero poi passato il resto della vita a perfezionare. Di questa parabola fin troppo lineare il nuovo libro di Anna Ottani Cavina costituisce una variante piena di scoperte e di sorprese. È vero, sostiene Ottani Cavina in questa sua arringa magnificamente illustrata, gli artisti del Nord in Italia trovavano qualcosa, come la luce, cui gli studi non li avevano preparati; e, anche questo è vero, il trauma culturale e visivo li portava a modificare i loro stessi strumenti, l’uso che ne facevano: a esasperare il disegno, ad esempio, oppure, in una gran quantità di casi, ad abbandonarlo del tutto. Ma in questo modo non lavoravano a una replica fedele di quanto avevano visto, e vissuto: piuttosto, uno schizzo alla volta, una tela dopo l’altra, Poussin, Thomas Jones, Granet e molti altri cominciavano in realtà a costruire quasi dal nulla quel luogo dell’immaginazione e della memoria che da allora tutti noi, credendo di conoscerlo da sempre, chiamiamo Italia”. Poi c’erano naturalmente gli imbrattatele. Ma ci sono ancora oggi.
Anna Ottani Cavina, Terre senz’ombra, Adelphi