La serialita’ è un’arte e un rischio. Il rischio che corre Antonio Manzini, giunto con Era di maggio alla quarta avventura poliziesca di Rocco Schiavone, il vicequestore – mai chiamarlo commissario! – trasferito da Roma ad Aosta, per il suo modo diciamo rude di interpretare il ruolo di poliziotto alle prese – come tutti i poliziotti – con il lato oscuro della società. Si fa le canne, si sa. Ruba quando può, ai delinquenti, sia chiaro, alla Arsenio Lupin, che però non fa il vicequestore. Non riesce a superare la morte violenta e casuale della moglie Marina. Non tralascia avventure di passaggio, ma fregherebbe volentieri il vice ispettore Caterina al suo quasi fidanzato agente. Ma sarebbe una storia vera. Forse alla prossima puntata. Per ora Schiavone si dibatte in brutti affari subalpini, nel marcio della buona società aostana alle prese con infiltrazioni ndranghetiste, con un ex terrorista nero che non si accontenta di fare il vignaiolo. Un rapimento che ne esalta la generosità, un omicidio casuale nel suo letto che lo colpisce nel profondo, la rincorsa degli assassini tra la Valle, Roma e le Marche. Sempre con le fradice Clarks d’ordinanza e “de sinistra”, direbbe lui, ai piedi. Schiavone è sagace. Schiavone non molla mai la preda. Dunque i cattivi, se non sono morti, finiscono al gabbio. Ma appunto, la serialita’ è un rischio. In questo caso la vicenda si perde talvolta in intrecci superflui e Rocco Schiavone finisce per essere una rappresentazione oleografica di se stesso. Comunque da leggere. Ma non è il miglior Manzini.
Antonio Manzini, Era di maggio, www.sellerio.it