Home mostre Celestino Ferraresi: apologia della fede alla Galleria ART G.A.P.

Celestino Ferraresi: apologia della fede alla Galleria ART G.A.P.

1953

Quando nel 1936 Benjamin scrisse il Saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, distinse il “valore cultuale” dal “valore espositivo” delle opere d’arte. Cio’ dipende dalle proprietà dell’opera d’arte autentica, attraverso cui si manifesta il “valore cultuale“, e quelle dell’opera d’arte riproduttiva, dove si manifesta il “valore espositivo“.

Lo statuto di originalità per Benjamin è contrassegnato da ciò che chiama aura; proprio attraverso questa aura Horkheimer e Adorno, nella “Dialettica dell’illuminismo”credono sia possibile fare un’”analisi immanente” per mettere in evidenza il carattere sovversivo e critico di queste opere nella società, contro la concorrenza dell’industria culturale.

Perchè quest’analisi sull’aura ha un’importanza storica e sociale? La mostra in ricordo dell’artista Celestino Ferraresi, presso la Galleria ART G.A.P in Via San Francesco a Ripa, è un chiaro esempio di come l’aura continui a combattere la meccanicità con la quale si impone la pop-art, pur rimanendo nell’anacronismo del figurativo. Infatti, la maggior parte delle opere esposte erano lavori commissionati al Ferraresi per la chiesa di S. Sebastiano in Cesano di Roma. I lavori non furono esposti nella chiesa per ragioni economiche. Si tratta, quindi, di arte figurativa a rappresentazione di momenti chiave alla base della fede religiosa. In particolare, da sottolineare, “La Resurrezione” (2001) e “Angelo” (1999). Se ad un primo impatto emerge lo scuro sopra sui colori chiari, a ben vedere è, invece, proprio la luce il fulcro che equilibra questi lavori con un messaggio fideistico non scontato. Per lo stesso Ferraresi “la fede è un sentimento libero come l’amore, se non ci si innamora, non è amore sincero“. La luce che fuoriesce dal Cristo risorto non è abbastanza forte per irradiare tutti gli spettatori che assistono attoniti a quest’epifania, ma allo stesso tempo è forte nella figura di Cristo, tanto da non permettere ai “colori cupi” di emergere.

Osservando attentamente i colori scuri che, come già detto a primo impatto sembrano quelli più evidenti, a poco a poco perdono l’intensità e la luce si diffonde , sconfiggendo l’illusione ottica di un lato oscuro del fondamento della fede.

Da discutere la strutturazione della mostra che non ha una linea cronologica di riferimento specifica; si passa da opere che riflettono su pensieri religiosi a opere realizzate dall’artista per il suo puro piacere pittorico, il palcoscenico espositivo, è, in definitiva, autoriflettente. Rimane, in ogni caso. Indiscutibile, però, l’abilità pittorica del Ferraresi: i suoi giochi di luce, il contenuto di verità e la sovversività di una fede nuova, anche se il palcoscenico della mostra avrebbe dovuto riflettere di più sull’importanza della luce che le sue opere pittoriche dovevano ricevere. Ma una sorge unA domanda: perchè una fede nuova? In primo luogo occorre sottolineare la difficoltà di dare importanza, ad oggi, al figurativo affinchè ci possa parlare, di conseguenza come si possa ancora parlare di messaggi religiosi, messaggi di senso partendo dalla rappresentazione di oggetti.

Inoltre vi è l’idea che la fede non sia un punto di partenza, ma di arrivo di un percorso difficile: è dal buio che si parte per giungere alla luce, l’illuminazione, la via di fuga dalla forza indomabile dell’oscurità. A sostenerci è il Santo, icona di riferimento nella sconfitta del male (buio) che non ci abbandona mai fino al raggiungimento della sorgente di luce.

Un anacronismo nello stile pittorico che, nonostante questo, è in grado nel 2016 di lasciare un minimo dubbio su cosa possa essere la Fede, attraverso la sua manifestazione ottica e la conseguente esperienza di compiere con lo sforzo visivo lo stesso sforzo interiore che accompagna il percorso di una conversione reale.

In definitiva aura e arte figurativa lo stesso esperimento auspicato dal Klee di “non riprodurre il visibile, ma rendere visibile”.