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Vivian Maier un’esposizione attesa al Museo di Roma in Trastevere

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immagine via http://www.vivianmaier.com/

 
Vivian Maier tata per professione, fotografa per passione resterà in mostra al Museo di Roma in Trastevere dal 17 Marzo fino al 18 Giugno 2017 in una collezione di 120 scatti in bianco e nero a cui si aggiungono diverse fotografie a colori e video in 8mm girati nel corso della seconda metà del Novecento a New York, Chicago, Grenoble e in diverse altre città in cui Vivian Maier si trovò a soggiornare; l’eredità che l’artista ci lascia è uno specchio della natura umana, di un mondo attraversato da tre generazioni, e allo stesso tempo è una documentazione attenta di ciò che il suo sguardo sagace, umoristico, meticoloso ha impresso su pellicola.

foto via http://www.vivianmaier.com/
foto via  www.vivianmaier.com

La storia particolare di Vivian Maier è una testimonianza emersa grazie all’occhio e alla perseveranza di un ragazzo di nome John Maloof; questo artista curioso, con esperienza nel mercato delle pulci, agli inizi del 2000 inizia ad interessarsi insieme ad un suo collega alla storia di Chicago; il ragazzo si muove tra gli annunci, le biblioteche pubbliche e le aste alla ricerca di materiale iconografico e finisce nel 2009 alla RPN, una casa d’aste in cui venivano vendute le memorie di chi in mancanza di eredi, o in mancanza di denaro, aveva perso ogni proprietà su di esse; a pochi giorni dalla morte di Vivian Maier in una giornata come tante altre John Maloof acquista per 380 dollari una scatola piena di foto, negativi e rullini, non sapendo che quella che poteva sembrare una normale compravendita sarebbe stata il primo scatto di un rullino contenente migliaia di storie.

La scatola comprata all’asta inizia a rivelare da subito i propri tesori, le fotografie che ne fuoriescono e quelle che prendono forma per mezzo delle scansioni e delle stampe hanno per John un valore molto  alto, tanto da portarlo a cercare notizie di questa donna su google, dentro le gallerie d’arte e attraverso un blog su Flickr; dopo poco tempo ricontatta l’asta da cui aveva comprato la scatola ottenendo la maggior parte degli oggetti con nome “Vivian Maier”, contatta altre persone, crea una rete di conoscenze, e raggiunge il numero di oltre 100.000 negativi, iniziando a ricostruire la storia di una delle più grandi street photographer del Novecento.

Vivian Maier nasce il 1° Febbraio 1926 a New York, da padre americano e madre francese; dopo un’infanzia burrascosa data dai dissapori dei genitori, si trasferisce insieme alla madre da Jeanne Bertrand una fotografa professionista residente nel Bronx. Siamo nel 1929, il Bronx, uno dei quartieri meno rinomati di New York, stimola la curiosità di Vivian che osservando il lavoro di Jeanne Bertrand inizia ad appassionarsi di fotografia; la crescita in un quartiere non particolarmente rinomato da all’interesse per l’arte una direttiva decisa, potremo infatti notare negli scatti di quest’artista un’attenzione particolare per coloro che vivono ai margini della società, per la loro tragedia ma anche per la loro stranezza e le atipicità presentate catturate con tratti umoristici.

Verso la fine degli anni Trenta, la madre e la figlia si trasferiscono ulteriormente, e negli anni Cinquanta Vivian Maier vende all’asta una proprietà ereditata dal cui ricavato riuscirà a comprare un’eccellente macchina fotografica tedesca: la Rolleiflex, una compagna di viaggio portata con sé in ogni spostamento. Sono gli anni in cui la Maier inizia la sua carriera come bambinaia, non una bambinaia qualsiasi, ma una bambinaia amata dai bambini e dalle loro famiglie, una Mary Poppins americana che con quel suo fare duro e allo stesso tempo dolce sarebbe stata ricordata dagli allora bambini, ora uomini e donne spettatori della sua riscoperta e narratori delle sue memorie.

foto via www.vivianmaier.com
foto via www.vivianmaier.com

Ciò che colpisce di questi racconti è la segretezza con cui la Maier custodiva il suo talento artistico e la sua identità cambiando spesso nome, era come se lei non volesse lasciar traccia di sé nella quotidianità da lei vissuta e nascere una volta morta proprio attraverso le fotografie metodicamente conservate; questa fotografa dalla doppiavita si è mossa nell’esistenza come una foglia silente caduta in autunno; una donna fuori e dentro la vita che aveva di sé l’immagine di una spia;   osservava la realtà e le rubava i suoi attimi di bellezza e verità senza volere per sé altro.

 

La fotografia di Vivian Maier è un’istantanea che fa dell’attenzione ai particolari, dell’umorismo, della particolarità un suo punto di forza, è un ponte per esplorare la totalità della realtà cittadina in cui è inserita, così tra le sue foto si susseguono soggetti particolari, vestiti alzati dal vento che ricordano un po’ quel Quando la moglie è in vacanza che avrebbe sfondato al botteghino da lì a qualche anno; ma anche donne distinte, uomini al lavoro, cani alla guardia di cabine telefoniche, e poi artisti di strada, amanti ripresi a dormire dolcemente l’uno sull’altra, anziane signore e scontri-incontri tra poliziotti e straniere; tutto questo proprio negli stessi anni in cui Richard Avedon immortalava le prime donne distinte al banco di un bar e Henri Cartier-Bresson rubava momenti da rendere eterni alla sua realtà francese.

foto via www.vivianmaier.com
foto via www.vivianmaier.com

L’amore per i bambini, la passione con cui portava avanti il suo lavoro, veniva catturato dalla sua Rolleiflex con la quale poteva passare inosservata; non sono rare le riprese e gli scatti che hanno per soggetto i bambini e le bambine di cui era tata o che incontrava per la strada, questi appartenevano a classi sociali trasversali ed erano diversi per etnia, età, e fisionomia; molto spesso ritratti in pose particolari o immortalati mentre mettevano il naso dove non avrebbero dovuto.

Vivian Maier rimane ad oggi una delle più grandi testimoni del suo tempo, il cui sguardo nascosto ci ha rivelato la quotidianità di molteplici accadimenti tanto passati quanto attuali nel loro immanente stupore; l’accorta mostra curata da Anne Morin e Alessandra Mauro per la produzione di diChroma Photography e la realizzazione di Fondazione FORMA per la Fotografia risulta essere in questa Stagione romana un’ottima proposta, non solo per la stupenda cornice in cui è ospitata, ma anche per l’attenta e giudiziosa disposizione delle foto nel percorso espositivo.