Al termine del concerto una standing ovation di venti minuti ha accolto direttore, musicisti e cantanti. Un pubblico entusiasta, un pubblico talmente entusiasta da insinuarsi in ogni interstizio per scosciare in applausi, un pubblico grosso dunque. E grossolano per l’apprezzamento di una buona ma non eccelsa esecuzione del “Così fan tutte” di Mozart all’Auditorium, esecuzione che se per alcuni aspetti, specie virtuosismo e acume interpretativo di alcune voci, risultava positiva, per altri, riduzione orchestrale e direzione, risultava sconcertante.
Un concerto sconcertante: Paolo Fanale, Ferrando, ha dato prova di una sensibilità interpretativa, sia canora che attoriale, veramente eccezionale, coinvolgendo il pubblico nell’alveo della sua voce potente e appassionante, portando la platea a dei picchi di tensione estetica sciolti di volta in volta nell’applauso che seguiva ad ogni sua parte solista; accanto a lui si stagliavano le voci variegate degli altri interpreti dai quali molto di più ci si sarebbe potuti aspettare, come molto di più ci si sarebbe potuti aspettare da le cui soluzioni direttive non sempre andavano incontro all’intelligibilità musicale.
Il Così fan tutte riproposto al pubblico dall’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia risulta in ogni caso un’operazione meritoria, in quanto la freschezza del libretto di Da Ponte, sposato ad uno dei più sublimi parti musicali della mente mozartiana, riesce contemporaneamente a riportare il pubblico al clima del libertinismo settecentesco, suscitando nello stesso tempo una riflessione sulla natura delle relazioni in una contemporaneità che vede nel rapporto amoroso un’utopia ricercata e mai totalmente realizzabile.
Resta comunque al fine la perplessità della presentazione di opere, qui come altrove, in forma di concerto, in quanto la potenza della drammaticità, insita nell’opera, viene ridotta alla sua pur finissima tramatura musicale, rischiando di fraintendere completamente un mezzo che se tanta fortuna ha avuto tra Sette e Ottocento può risultare inattuale nella contemporaneità e inattuale a maggior ragione a causa dell’espulsione, a cui spesso assistiamo, della sua messinscena, favorendo una fruizione incentrata sulla qualità musicale più che su quella narrativa.
Ester Schiavone