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Linda di Chamounix, un’opera melensa che però fa ancora ridere

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La musica diventa veramente un’esperienza quando riesce, finalmente, a comunicare qualcosa nel più intimo inner core dell’ascoltatore/spettatore. E la musica di Donizetti ben si presta alle esperienze, sia intime sia pubblico politiche. Linda di Chamounix, in scena al Teatro dell’Opera di Roma, con la regia di Emilio Sagi e la bacchetta di Riccardo Frizza, è una opera classica che, talvolta, celebra il melenso mondo antico di una religione salvifica ma imbalsamata, ma resta pur sempre un’opera che celebra sia il genio italiano sia la bellezza della nostra specifica arte musicale.

Quella di Sagi è stata una scenografia cantata, che ben si è amalgamata con la purezza delle note donizettiane. Con i colori pastello dei costumi, in grado da soli di decrittare un mondo al di fuori di quello normale proprio perché eccessivamente sintetico nella definizione di bene e male.

Jessic Pratt, splendida voce. Una Linda che nel “Oh luce di quest’anima” non ha avuto niente da dire a dispetto di una Gruberova o una Devia.

Pierotto, Ketevan Kemoklidze, dopo un inizio incerto si è saputo redimere dando la stura alla linea melodrammatica e un po’ mielosa che è proprio del personaggio. Ma è stato Bruno de Simone, il Marchese di Boisfluery, il vero campione di questa mise en scene. La sua è stata una capacità assoluta di dare prova di una grande abilità di cantante ma anche, e soprattutto, di attore. Perché la sua non è stata solo una performance canora, una cosa non così difficile da trovare oggi, ma è stata una interpretazione letterale del basso buffo che non si vedeva in Italia da Enzo Dara. Ecco, un applauso meritato va al Maestro de Simone che ha saputo rispolverare l’arte carnascialesca e viva del buffo senza essere meschino.