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Voci dal Conservatorio, Bruno Biriaco la musica ai tempi della società disarmonica. In lotta contro i Talent

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La musica si può occupare di tante cose e, se fino a ieri, la gente si concentrava solo sulla classica, adesso si sta assistendo ad un progressivo spostamento verso il jazz, universo a cui io appartengo.

Inizia così la nostra chiacchierata con Bruno Biriaco, maestro indiscusso di rock progressive, che domenica 25 ottobre, alle ore 12, dirigerà l’Orchestra jazz di Santa Cecilia al Teatro Eliseo di Roma.

Jazz è il genere che meglio definisce Bruno Biriaco, ma perché non la classica?

La musica classica costituisce una fetta importante della nostra cultura, ma come ogni genere segue differenti processi evolutivi. La musica jazz fa ormai parte del nostro panorama e anche l’Italia può vantare nomi di un certo spessore, anche a livello internazionale. Tutto, ovviamente, senza mettere in discussione il repertorio classico, che ha una sua rispettabilissima tradizione. Oggi però la gente segue anche altro, segno di un’evoluzione musicale e culturale. L’importante è fare e ascoltare musica. In un momento in cui la cultura annaspa per il disinteresse delle istituzioni è importante mantenersi vivi e le persone devono imparare a distinguere ciò che è cultura da certe sue pseudo rappresentazioni.


Si riferisce ai talent show?
Le ragioni commerciali stanno ormai annaspando la realtà. Stiamo assistendo ad una letterale invasione di certi programmi televisivi che distolgono il panorama artistico. In questi talent ciò che è mediocrità viene spesso spacciata per talento, portando alla ribalta personaggi che, al di fuori delle logiche televisive, dopo appena un anno, scompaiono per essere subito sostituiti da altri giovani. La colpa è degli organizzatori che speculano su questi poveri ragazzi, visto che sono veramente in pochi coloro i quali riescono poi a sopravvivere – artisticamente parlando – per un lungo periodo. Quanto invece musicisti lo si diventa percorrendo un altro tipo di strada, attraverso uno studio attento e proficuo, ma anche con il confronto con altri talenti, raggiungendo l’apice quando si è in grado di comunicare con il pubblico.


Quali sono i tratti salienti di un musicista jazz?
Oggi la musica jazz si è evoluta partendo da determinati canoni musicali, riscoprendo maggiore sintonia anche sul piano espressivo. Musicista jazz è innanzitutto un creativo: se infatti il classico si pone dinanzi a certe problematiche interpretative, il jazzista ne aggiunge anche altre che hanno a che fare con la sintetizzazione dei linguaggi. Non dimentichiamoci che la musica jazz viene da lontano, dall’America è poi giunta in Europa, ma siamo noi che ci siamo adeguati al suo linguaggio. Amo ripetere la frase di un grande come Duke Ellington: “Se non è swing non significa nulla”, ossia caratteristica del jazz è proprio il suo andamento ritmico che fa quasi pensare ad un ondeggiamento. Bisogna sempre entrare in profondità per trovare la giusta linea espressiva.

Veniamo al concerto di domenica 25 ottobre, “Le Big Band – L’Arte di Arrangiarsi”: cosa dobbiamo aspettarci da un titolo del genere?
In realtà la frase l’ho presa in prestito dall’ “Arte della fuga” di Bach. Arrangiarsi vuol dire sicuramente tante cose, a partire dal piano sociale, situazione che sul piano artistico è resa ancora più difficile, visto che la crisi ha colpito questo settore molto tempo prima. Adesso gli assessorati alla cultura sono spesso sordi alle richieste che giungono da parte degli artisti. Noi italiani abbiamo un vanto, che è quello di avere una grande dose di fiducia in noi stessi, che prima o poi realizzeremo il nostro sogno, ma proprio il musicista più che mai deve essere in grado di trovare soluzioni per realizzare i suoi progetti. Musicalmente parlando il “Big band” è proprio uno stile ed io, da arrangiatore, vestirò i pezzi per la formazione.

Dal programma si scorgono nomi come Edgar Sampson, Glenn Miller, Woody Herman e George Gershwin: sarà una rievocazione dei più grandi interpreti della musica jazz?
Il termine nostalgia a me non piace molto. In Italia c’è molta confusione: il “Big band style” nasce a metà degli anni ’20 come musica da intrattenimento nelle sale da ballo, per poi evolversi grazie ad interpreti del calibro di Herman ed Ellington, che suoneremo domenica 25 ottobre dal palco dell’Eliseo. Non mi servirò di arrangiamenti presi dagli stamponi musicali come in altri concerti perché trovo giusto qualificare i membri dell’Orchestra jazz di Santa Cecilia, quindi il 25 i brani eseguiti saranno ri-arrangiati da me, rivestiti da me. Orchestra tra l’altro molto preparata dal punto di vista tecnico e il programma che ho preparato sarà una bella sfida. In genere, un’orchestra di jazz deve comunque avere altre caratteristiche sul piano della pronuncia strumentale perché il discorso cambia ritmicamente ed è solo la sensibilità dell’individuo che alla fine fa la differenza. La musica non può essere solo semplice virtuosismo.

Un progetto molto importante quello che il Conservatorio di Santa Cecilia sta realizzando, in collaborazione con il Teatro Eliseo …
Senz’ombra di dubbio e aggiungo che mette in risalto la sensibilità di un direttore come
Alfredo Santoloci, attento alla musica e a tutto ciò che vi gira attorno. Il fatto che gli iscritti al corso di jazz del Santa Cecilia siano in costante aumento è una prova evidente dell’interesse che ha suscitato questo tipo di approccio. E allora s’intuisce l’importanza di un progetto di questo tipo, soprattutto in un periodo di grave depressione a livello d’iniziative culturali. Onore al merito. Poi c’è da dire che niente e nessuno potrà mai eguagliare un concerto suonato da un’orchestra dal vivo: è un’esperienza unica e bellissima. Credo sia fondamentale che la gente sappia rivalutare la funzione sociale della musica in una società disarmonica come quella di oggi. Speriamo che questo messaggio sia da input per altri importanti realtà formative, sparse su tutto il territorio italiano, ma spesso sconosciute ai più.