Papa Francesco è entrato nella Sinagoga con il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e il presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello. Il pontefice ha salutato anche l’ex presidente della Comunità, Riccardo Pacifici. Il Papa, che ha reso omaggio alla lapide che ricorda il 16 ottobre 1943 e a quella che onora il piccolo Sfefano Gaj Teche’, vittima del terrorismo palestinese, e’ stato accolto dagli applausi. “Oggi il Tempio accoglie con gratitudine questa terza visita di un papa e vescovo di Roma”, ha detto il Rabbino. Per Di Segni “è decisamente il segno concreto di una nuova era dopo tutto quanto è successo nel passato”, aggiungendo inoltre che “secondo la tradizione giuridica rabbinica, un atto ripetuto tre volte diventa ‘chazaqà’, consuetudine fissa”. “Da un punto di vista teologico – ha detto il Papa – appare chiaramente l’inscindibile legame che unisce cristiani ed ebrei. I cristiani per comprendere sé stessi – ha ricordato – non possono non fare riferimento alle radici ebraiche, e la Chiesa, pur professando la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l’irrevocabilità dell’Antica Alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele. Mi auguro – ha aggiunto – che crescano sempre più la vicinanza, la reciproca conoscenza e la stima tra le nostre due comunità di fede. La violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche. La vita è sacra, quale dono di Dio”. “Il 16 ottobre 1943, oltre mille uomini, donne e bambini della comunita’ ebraica di Roma furono deportati ad Auschwitz. Oggi – ha detto ancora il Papa – desidero ricordarli col cuore, in modo particolare: le loro sofferenze, le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate. E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro”. In chiusura il Papa ha detto: “Che il Signore ci benedica e ci protegga. Faccia splendere il suo volto su di noi e ci doni la sua grazia. Rivolga su di noi il suo volto e ci conceda la pace. Shalom alechem!”. Una invocazione seguita dai lunghi applausi.