La città di pietra, la città dei Ceri, la città di Sant’Ubaldo, che fermò il Barbarossa, la città di Federico da Montefeltro, la città di San Francesco e del lupo, la città dell’iridio, del tartufo, della ceramica… Tante possono essere le definizioni di Gubbio, 200 chilometri a nord di Roma. Tante e nessuna tra queste abusiva. In fondo neppure quella, più prosaica e moderna, di città di Don Matteo, collocata in primo piano nella sezione turistica del sito del Comune. Omaggio alla popolare fiction con protagonista il parroco Terence Hill, il Padre Brown di Gilbert Keith Chesterton reinterpretato da Enrico Oldoini in chiave italiana. Certo, si può andare a Gubbio sulle tracce dei “luoghi di don Matteo”. Si può visitare la Chiesa di San Giovanni del parroco-detective. Non male, ma più bella è la piazza, ridisegnata da Gae Aulenti. E di chiese, Gubbio, ne conta di migliori. Il Duomo gotico, per esempio. Ma anche la barocca Chiesa della Madonna del Prato, che il Perugini edificò sul modello della romana San Carlino alle Quattro Fontane, capolavoro del Borromini. O forse il Borromini fece a Gubbio le prove per l’altra… Molti sono i motivi che possono spingere un viaggiatore a Gubbio. Anche l’Albero di Natale più grande del mondo, adagiato sulle pendici del monte Ingino, il “colle eletto” comodamente raggiungibile con la storica funivia a cestello. O le Tavole Eugubine, in umbro e latino, per gli esperti forse più importanti della Stele di Rosetta. O la processione del Cristo Morto. O il teatro romano, il Palazzo Ducale, il Palazzo dei Consoli. O la Festa dei Ceri (15 maggio), in bilico tra il sacro e il profano. O il Dolcetto eugubino da poco riscoperto. Con il contorno di una gastronomia d’eccellenza. Hermann Hesse ci veniva “per trarre forza dalle opere dell’uomo”. Tra queste, un po’ sottovalutata dagli stessi eugubini, il Quartiere di San Martino con il suo Torrente Camignano. Avrebbero semplicemente potuto interrarlo, il torrente. Considerarlo un disturbo, uno scherzo di natura. Costruire la cinta muraria – ancora intatta – poche centinaia di metri più in là, invece di farci i conti. Ma la Gubbio medievale non interrava né ignorava, costruiva. E in pietra ha costruito il quartiere, intorno al suo Torrente. Con i suoi ponti e il suo Lungo Camignano. Tanto da fare di Gubbio anche la “Venezia degli Appennini”. Così definisce la cittadina dell’Alta Umbria Attilio Brilli, tra i massimi esperti di letteratura di viaggio. Lo fa ricostruendo la saga romantica del Grand Tour, il pellegrinaggio culturale delle classi colte europee che, sulle tracce del Medioevo e della spiritualità francescana, aveva nell’antica Iguvium-Ikuvium una tappa obbligatoria. Anche questa definizione della città è calzante. Gli scorci sono impareggiabili e meriterebbero di essere riscoperti e valorizzati dall’amministrazione comunale, oltre che dai viaggiatori. Meno Don Matteo, più San Martino, verrebbe da dire…
Da leggere
Attilio Brilli, Il grande racconto del viaggio in Italia. Itinerari di ieri per i viaggiatori di oggi, il Mulino, 2014
Per dormire: www.parkhotelaicappuccini.it
Per mangiare: www.tavernadellupo.it
Spero che il libro sia migliore della recensione, del tutto arrangiata e con qualche strafalcione di troppo.
spero che il libro sia meglio della recensione, un pò arrangiata e con qualche strafalcione storico di troppo. buona lettura.
L’articolo non e’ una recensione del libro, si limita a citarlo per la definizione di Gubbio come “Venezia degli Appennini”
spero che il libro sia meglio dell’articolo, un pò arrangiato e con qualche strafalcione storico di troppo. buona lettura.
L’articolo non è un saggio storico. Il libro di Brilli e’ molto bello.
Anche po’ scritto con l’accento è uno strafalcione. Grazie per l’attenzione, comunque.
Ansidei, con la s, non con la z
Grazie, corretto…
Egregio blogger, visto che le preme la grammatica, corregga la Z di Ansidei, altrimenti manda la sua gente da un’altra parte.
bene bravo. come vede la leggiamo in tanti. qui.