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Il terrore ad Ankara, 97 morti e centinaia di feriti

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È di almeno 97 morti e centinaia di feriti il bilancio dell’attentato suicida che il 10 ottobre ha sconvolto la capitale turca Ankara. È stato il più sanguinoso attentato mai commesso in Turchia, perpetrato contro una manifestazione per la pace organizzata da organizzazioni di sinistra a tre settimane dalle elezioni. L’attacco non è ancora stato rivendicato, ma il premier turco Ahmet Davutoglu ha indicato tre movimenti a suo giudizio capaci di tale attacco: il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), lo Stato islamico (Isis) e il Partito/Fronte rivoluzionario per la liberazione del popolo (DHKP-C) di estrema sinistra. Alle 9.04 italiane due forti esplosioni hanno scosso la zona attorno alla stazione centrale di Ankara, dove si stavano radunando migliaia di attivisti provenienti da tutto il Paese rispondendo all’appello di diversi sindacati, organizzazioni non governative e partiti di sinistra di scendere in piazza per denunciare la ripresa delle ostilità tra Ankara e i ribelli curdi. La doppia esplosione ha trasformato la piazza in una scena di guerra, con molti cadaveri a terra, in mezzo agli striscioni con lo slogan “lavoro, pace e democrazia”. Il governo turco in serata ha vietato la diffusione delle immagini per “ragioni di sicurezza”. Il premier ha riferito di “indizi molto seri sul fatto che l’attacco è stato messo a segno da due attentatori suicidi”. Il presidente Erdogan ha subito condannato un “attentato atroce contro la pace e l’unità” della Turchia, promettendo “la risposta più forte” contro i resposanbili. Il governo ha quindi annunciato tre giorni di lutto nazionale. L’attacco arriva a tre settimane dalle elezioni anticipate fissate per il prossimo 1 novembre, nel pieno di scontri tra le forze di sicurezza sicurezza e ribelli del Pkk nel Sud-Est a maggioranza curda del Paese. Il Pkk ha annunciato la sospensione delle operazioni fino al giorno delle elezioni. I turchi tornano alle urne dopo che il voto di giugno ha tolto la maggioranza assoluta al partito conservatore islamico al governo (Akp), che non è poi riuscito a formare una nuova alleanza di governo.