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Edipo a Roma, un coro di applausi al Teatro Vascello

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Un grido che attraversa i secoli e che questa volta è approdato al Teatro Vascello di Roma, fino al 10 maggio, quello lanciato da questo Edipo Re, messo in scena dalla Compagnia, Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, con la regia e la drammaturgia di Marco Isidori.
Con una scenografia che rievoca un piramide verticale, simbolo di un teatro che sale verso l’Empireo, il dramma maleodorante di Edipo annichilisce completamente il pubblico romano. Apparendo nella “skenè” primitiva con un il suo tallone claudicante, il vetusto Edipo, pirata del dolore dei tempi, immortala una ferocia primitiva, che dà un senso profondo allo stesso agire teatrale di tutto l’opera corale.
I Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, storica compagnia torinese attiva sulla scena nazionale dal 1984, tornano a Roma dopo quattro anni di assenza dai palcoscenici capitolini e presentano per la prima volta al teatro Vascello per 6 repliche il loro Edipo Re, nella traduzione del regista Marco Isidori, fondatore della compagine con la scenografa e costumista Daniela Dal Cin e l’attrice Maria Luisa Abate. Lo spettacolo messo in scena per la prima volta nel 2012 a Torino e candidato per il Premio Ubu 2012 per la migliore scenografia. Le suggestioni della scrittura sofoclea vengono ibridate e disciplinate nella rilettura e traduzione di Isidori così come nella trasposizione scenica a quelle holderliniane dell’Edipo tiranno. L’esito dell’impresa dà vita a una drammaturgia corale, spogliata dai riferimenti mitologici, incentrata sui valori sonori e poetici della parole, sulle sue discontinuità e sugli intoppi che restituiscono nuova linfa
La morte, come avventura primitiva e radicale. La morte, come esperimento unitario di un ciclo uroborico, trazione verso una decisione finale che lacera lo spazio, permettendo la nascita di una presa di coscienza che sancisce il distacco dell’Io dal Noi. Quindi un’esperienza totale, quasi infantile, così scrive Friedrich Dürrenmatt ne “La morte della Pizia”: «Entrò nel santuario: morire, che evento solenne. Si domandò come avvenisse il morire: era emozionata, pregustava l’avventura».
Un incontro, quello narrato nel racconto breve, tra la Pizia e Tiresia, che, stanchi di bugie, rivelato un altro Edipo.
Ma questo Edipo, l’Edipo a Roma, Marco Isidori ha meritato gli applausi. Il suo coro, con il quale l’attore ha svolto eccellentemente il suo ruolo di “ypokrites”, di “colui che risponde”, ha saputo ingaggiare con il pubblico una lotta serrata di educazione e provocazione. Con la voce meccanica e i gesti di un Pinocchio esagerato, il Coro ha avuto un ruolo così eccezionale da essere non solo complice ma partecipe, quasi da sembrare il plagio di quello delle Supplici di Eschilo. Entrando su ritmo di anapesti, a passo di marcia, questo coro, come la Chorè platonica da cui il Demiurgo plasma il tutto, lascia emergere altri Campioni. Come Maria Luisa Abate, Tiresia, Paolo Oricco nel ruolo di Creonte Stefano Re, Servo/Pastore, Valentina Battistone nel ruolo de Messaggero.
«I più grandi dolori sono quelli di cui noi stessi siamo la causa». Dice Edipo. È vero, quindi, anche il contrario. Le più grandi gioie sono quelle che ci costruiamo da soli, o come diceva Appio Claudio Cieco “Homo Faber fortunae suae”. E assistere a questo spettacolo è stata una esperienza che ha riesumato il significato autentico di presenza del teatro nel collettivo. Una società pronta all’ascolto orale di una storia che ha agghiacciato l’umanità intera per la sua genuinità e la sua bellezza. Una storia che ormai ha, però, fatto anche il suo tempo in campo psicanalitico oltre che umano, visti gli studi della Benjamin sulla figuro di Laio, ma che resta lì, fissa sulla roccia del tempo, immutabile forma di un dolore che si radica nell’utero di una umanità che, talvolta, stenta a diventare adulta.