Al Teatro delle Moline di Bologna arriva “L’arte del teatro” di Pascal Rambert, una produzione di Emilia Romagna Teatro Fondazione.
La scenografia è molto semplice: una ciotola, una sedia, un tappetino e un cane. Paolo Musio, unico attore in scena, è vestito con abiti informali, casalinghi: una canottiera bianca, una felpa con cerniera, una tuta e un paio di ciabatte. Rambert spiega che l’ attore deve svuotarsi della sua presunzione, del savoir-faire, di quel ‘guardate come sono bravo a recitare’. Fondamentalmente un attore deve riuscire a scomparire.
Un attore consumato parla con un cane, un bellissimo levriero, della sua vita in teatro. Se sul palco c’è un animale si guarda subito quell’ essere, è questo il senso di quella figura: la bellezza dell’ innocenza, dell’ amore verso un altro essere e del saper stare al mondo. Un fiume di parole trascina con sé, insieme, la confessione dei dubbi di un mestiere e un’autentica dichiarazione d’amore per l’arte teatrale, di cui Rambert non fa soltanto dono allo spettatore, ma a chiunque incroci nella sua vita.
Questo testo contiene in sè la possibilità di essere trasceso, di aprirsi e fornire a tutti, anche a chi del teatro non sa assolutamente niente, l’ esperienza diretta e concreta di un modo di stare al mondo, alle prese con l’ azione, con il vuoto, la solitudine, con l’ altro da sè, ma sopratutto con l’ amore e lo stupore per la vita, il tempo in corsa e le sue infinite variazioni di ritmo e intensità.
L’ arte del teatro è l’ arte del rapimento dello spettatore, l’ arte di strappare lacrime al pubblico, l’ arte di farsi succhiare la pelle e di trasmissione del sangue, ci dice Musio durante il monologo. Alla fine dello spettacolo l’ attore si inginocchia e dichiara: “nella mia vita io brucio e questo fuoco lo depongo a voi”.