Home teatro La distopia della Merda resa oro: tra Joyce, Pirandello e Pasolini.

La distopia della Merda resa oro: tra Joyce, Pirandello e Pasolini.

1937

 La merda“, prima opera del “Decalogo del disgusto” scritto da Cristian Ceresoli e interpretato da Silvia Gallerano va in scena al Teatro Due fino al riempendo con il proprio degrado la sala.

La Potenza vocale, la capacità di essere in sé mille altre e altri, il talento e la struttura artistica del riuscire a vivere, interpretare, rendere profondamente reale per lo spettatore un flusso di coscienza schizofrenico, catastrofico, tangibile nella sua contemporaneità, rendono Silvia Gallerano una delle migliori attrici del nostro tempo. In questo monologo – nel corso degli anni – l’abbiamo vista espandersi, crescere fino a esplodere in una corrente di schegge, bravura, parole che trafiggono e centrano il punto: un buco nero che parla di un’identità frammentata, intrisa dello sguardo di ogni altro, presenza fissa e giudicante che nel definire la sua forma corporea e mentale, ridefinisce i confini della donna, spingendola a non-essere, lontana da ogni individuazione e in mostra – nuda – su un piedistallo alla mercé di chi la vuole circoscrivere e vivere.

Lungo tutto il monologo rimbomba nella testa come mille tamburi lo stridore di Sartre nel suo dire: “L’inferno sono gli altri”,e  in questo la merda mangiata, bevuta, goduta costantemente, giorno dopo giorno, da chi prova tutto pur di essere all’altezza di quello scorrere di visioni distopiche e giudizi socio-culturalmente definiti che vedono nel corpo – oggi più che mai –  un territorio adatto all’esproprio e alla colonizzazione in parti, pezzi di corpo che si devono adeguare allo standard.

Gli altri sono qui significati con il padre, e il suo suicidio che rende oggetto una bambina; con la madre, inserita anche lei in un contesto psicotico in cui il cibo diviene una forma di contatto; con i registi, con le segretarie che si occupano dei casting; con gli uomini, e con ogni altro uomo dopo suo padre, dai quali lei non riesce a divincolarsi, a dire di no, perché ci vuole coraggio, perché ci si abitua a tutto, anche allo schifo.

La Merda mostra la nudità, quella reale e non costruita di un corpo mercificato, quella di una storia narrata e esposta nella propria ferocia; mostra la nudità di un’identità colpita, martoriata, massacrata dal desiderio degli altri; dalle loro parole, dalle loro volontà e prese di posizione rispetto a chi si è; in questo monologo vediamo la rottura portata da una contemporaneità malata, in cui il corpo diviene l’arrivo di un percorso di assoggettamento dell’uomo e della donna ad un ideale di bellezza, ad un ossessione comune ai più: quella del riconoscimento da parte dell’altro, qualsiasi altro, a scapito del proprio essere: come presenza corporea e struttura mentale autentica e libera nella propria verità, qui annichilita – annullata da un vociferar convulso, tanto feroce quanto condiviso.

L’opera di Cristian Ceresoli si staglia,  nel panorama italiano e internazionale, come una confluenza delle strutture e dinamiche principali della contemporaneità da noi vissuta, fonte di un immaginario collettivo in cui la soggettiva si perde e viene allontanata dai propri significati,  sacrificio dovuto alla Dea bendata di una perfezione mercificata che marcisce nel proprio disagio.