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Plauto e il teatro: un mondo sempre più distante dai giovani e alla disperata ricerca dell’applauso facile

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Questa sera per gli appuntamenti con i Teatri di Pietra Lazio, a Malborghetto, andrà in scena la prima nazionale de “la commedia del fantasma” di Plauto. A questo proposito abbiamo fatto alcune domande al regista della commedia, Giancarlo Sammartano che tratteggia un quadro complesso sul rapporto tra giovani e teatro, che costa troppo, e tra classici che superano il tempo. 

 

Scegliere Plauto, oggi, sembra quasi una provocazione. La ‘romanità teatrale’ ai più può sembrare quasi minimale, se confrontata con una prosa teatrale così ridondante di ideologia, come a volte risulta essere quella contemporanea. Perché proprio Plauto?
Plauto non è completamente privo di ideologia, c’è una ideologia esistenziale formidabile in questo autore, la rappresentazione alla rovescia del mondo sociale in cui Plauto viveva, una Roma repubblicana fatta di patrizi, plebei e schiavi.
C’è un altro dato: la classicità. Che  spiega in alcuni casi molto bene la modernità. Basta pensare al fatto che noi comprendiamo meglio ‘Giorni felici’ di Beckett dopo aver rivisto e riletto il ‘Prometeo’ di Eschilo. Credo ci siano dei classici che appartengono alla letteratura e dei classici che appartengono alla contemporaneità. Plauto è un contemporaneo, la Roma di Plauto è la Roma della suburra quasi una Roma di ‘Totti’. Una comicità surreale, per certi versi metafisica che noi rappresentiamo in maniera non popolaresca ma al contrario come veniva rappresentata allora, con l’uso delle maschere e  attraverso quattro attori maschi (le donne allora non avevano accesso alla scena) che rappresentano tredici ruoli.

 

Quindi i classici hanno ancora qualcosa da dire e possono essere riletti in maniera attuale.
I classici sono classici per questo ed è questo il motivo per cui sono sopravvissuti alla polvere delle biblioteche. Non è letteratura morta. La modernità è il momento in cui si fonda la nuova classicità. Basti pensare a Pirandello che quando comincia a scrivere è  un letterato qualsiasi senza una direzione ben precisa  ma poi però diviene un ‘classico’ per Brecht e Peter Weiss.
La classicità è il piedistallo su cui si fonda la modernità. Non è passato  molto tempo dalla morte di Beckett ma possiamo lo stesso dire che è un classico assoluto. Paradossalmente nell’arte si accorciano o si modificano  le distanze cronologiche: Plauto è vicino a Molière, si potrebbe collocare tra Molière e Gooldoni. Non vedo il classico come passato. L’antico è diverso dal passato: il passato è trascorso, l’antico è sempre presente. E’ questa l’idea.

 

Anche perché non si parlerebbero di opere d’arte se non fossero collocabili al di fuori del tempo facendole divenire così immortali.
Esatto. Una una scultura greca ha un valore diverso da un comune recipiente in terracotta: il vaso di terracotta pur potendo essere un oggetto interessante non riflette una particolare ispirazione, una determinata visione del mondo, idee che stanno  invece dietro a una scultura,  dietro l’Arte.

 

Lei è stato un docente presso il DAMS di Roma Tre. Alla luce di questa esperienza, qual è il rapporto dei giovani italiani nei confronti del teatro?
Molto deludente. Da quel punto d’osservazione privilegiato si vede con chiarezza che si è interrotto il filo di una tradizione storica. Questi ragazzi hanno interessi mutuati da un sistema comunicativo diverso. Sono cambiate le coordinate, i rapporti. Quando ero studente c’era un forte riferimento alla tradizione, alla storia, quella storia che ora molti giovani non conoscono a pieno. Si  può dire che si è interrotto il ciclo della tradizione.
Il fascino del teatro ha subito un duro colpo rispetto alla televisione.
Certamente: il teatro vive in una elite ristretta, è un meccanismo costoso, lo spettacolo  dal vivo ha i suoi costi. Sono cambiate molte cose nel tempo. Forse il teatro avrebbe dovuto trovare una dimensione in un certo senso più clandestina, meno di massa.
Il teatro non è mai stato un fenomeno di massa, o, al limite, è stato un fenomeno di masse molto ristrette. Nell’Atene classica andavano a teatro tutti i cittadini, ma  i cittadini dell’ Atene del V secolo a.C. erano venticinquemila.

 

La cultura versa in uno stato di profonda frustrazione. La direttrice nazionalpopolare, messa in piedi da importanti istituzioni, come ad esempio il Teatro dell’Opera, vorrebbe riempire i teatri scegliendo una strada popolare che talvolta declina in populismo dall’applauso facile. In sostanza, andare sempre incontro ai desiderata del pubblico è la strada migliore?
Si, l’apertura di luoghi storici, dei siti archeologici a concerti pop da una parte allargano il pubblico, dall’altra abbassano il livello della qualità, del rigore. L’Arte non può avere un approccio facile, di consumo automatico. Prevede un impegno.