Home teatro Un funambolo che è tutto amore al Vascello

Un funambolo che è tutto amore al Vascello

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«I veri mistici non nascondono i misteri, li rivelano». Diceva Gilbert Keith Chesterton. Ed è quanto mai vero nel teatro. Luogo della visione. Dell’epifania. Della chiarificazione anche dell’insondabile.
Nel “Il funambolo” di Genet, nella traduzione di Giorgio Pinotti, con Andrea Giordana sul palco, andiamo incontro a una mistica della visione. Trasformando la performance orale in qualcosa di più intenso, l’attore barcolla tra le parole che assumono un senso locutorio e altre che invece hanno un significato illocutorio.
Rendendo agile lo scarto tra il senso di un’azione e il significato della parola Giordana, grazie alle parole di Pinotti, trasmette al pubblico un brivido di emozioni che risuscitano visioni che vanno oltre il felliniano onirico, ma scendono verso una pangea di sensazioni che oscillano tra il percettivo e l’immaginifico.
Le coreografie di Ricky Bonavita, messe in scena da Yari Molinari e Giovanni Scura, sono di sicuro effetto. Ma è la voce di Melania Giglio, così profondamente francese, tanto da arrivare quasi alle vette de l’Usignolo, a riportarci di nuovo su un palcoscenico che è oltre la mera fisicità.
E non è solo la versione alla Pierrot Lunaire che ci fa sbalordire, dopo Schonberg Pierrot ha dato tutto quello che doveva dare, ma la Giglio ha portato il pubblico su un altipiano di leggerezza finale: dove la morte sembra a un passo dalla liberazione.