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Stefano Canto e la sua società dell’effimero

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Stefano Canto espone in tutto il mondo, dal Senegal a Berlino. “Sotto l’influenza del Fiume. Sedimento” è la sua personale. Come siamo arrivati alla scelta di questo soggetto?

L’anno scorso Elena Giulia Abbiatici e Manuela Tognoli sapendo che la mia ricerca artistica è incentrata sul rapporto tra uomo e architettura mi hanno contattato per invitarmi a partecipare al Festival d’arte “Creature” e a pensare a un progetto site specific per l’area urbana del gazometro (distretto Marconi), Roma.  Sin dai primi sopralluoghi la mia attenzione è ricaduta sul fiume Tevere, visto come luogo di confine e di frizione tra il contesto urbano e naturale.

 

Nella scelta poetica della sua arte la materia diventa una espressione di un qualcos’altro. Ovviamente, la realtà si presta a parlare per conto di una terzietà assente. Ma questa assenza-presenza che cosa ci racconta?

Ci parla della società contemporanea, della “società dell’effimero”, della “modernità liquida”. ll vuoto, l’assenza, la fragilità, la transitorietà sono tutti segni distintivi della nostra epoca e le sculture che realizzo, a partire dai materiali stessi che scelgo, parlano esattamente di questo.

 

Come mai il Tevere? E come mai, secondo Lei, il fiume rappresenta la “città nella sua vera forma”?       

Gli architetti contemporanei progettano gli edifici che compongono la città facendo riferimento al nostro tempo e osservando il luogo nelle sue infinite sfaccettature, un insieme di informazioni che vengono filtrate e rielaborate per poi essere trasformate in architettura.

Zaha Hadid ad esempio costruiva basandosi sul flusso del traffico delle automobili, dei treni, degli aerei o dei pedoni, Libeskind per il Museo Ebraico di Berlino si ispira a un fulmine, Fuksas per il Palazzo dei Congressi traccia le forme di una nuvola, ma gli esempi possono essere molti.

L’architettura che ci rappresenta è questa, fluida, impermanente, e il fiume, con i suoi infiniti elementi sedimentati e stratificati sul suo fondo a formare un indistinto magma grigio in continuo movimento e mutamento, penso che sia la visione più veritiera della nostra città.

 

La macchina che ricorda una betoniera che si può vedere all’interno della personale ricorda e rimanda all’elemento creativo costante, ma qui si tratta di un processo di creazione di fossili, ossia di “ricordi”. Come mai? In questa città si guarda solo al passato?

Agamben direbbe che “la via di accesso al presente ha necessariamente la forma di un’archeologia”. I fossili che la macchina realizza sono “ricordi” del contemporaneo, sono impronte della città “liquida”, la “betoniera” che li produce è una sorta di clessidra rotta dove il tempo è fermo al presente, la polvere di cemento che fuoriesce si sedimenta all’interno di vasche d’acqua e litifica velocemente inglobando tutto quello che trova, il risultato sono forme irregolari dai connotati ibridi.

Altri progetti futuri?

Fino al 19 Maggio è ancora possibile visitare la mostra presso la Galleria Matèria e mercoledì 9 Maggio ci sarà la presentazione della pubblicazione inerente a questo ciclo di lavori e un talk con il critico di architettura Luigi Prestinenza Puglisi.

Giugno e Luglio saranno mesi molto intensi perché avrò due mostre a Palermo e una residenza a Corigliano Calabro e dopo l’estate inizierò una nuova produzione di lavori che sarà esposta a Milano con una mostra personale.