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Werther a Broadway, l’eleganza e la voluttuosità della morte

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Cosa potrebbe accadere se un velo di romanticismo avvolgesse, come un sudario, le luci di New York?

Lo possiamo scoprire con “Werther a Broadway”, di Giancarlo Sepe, in scena alla Comunità con Massimiliano Auci, Sonia Bertin, Marco Imparato, Federica Stefanelli e Adele Tirante.

La Comunità è un piccolo teatro nascosto che però, come uno scrigno elegante e umile, nasconde dei tesori affascinanti. Eravamo sicuri che saremmo rimasti senza parole,  ma non così.

Lo spettacolo affascina, dimostrando un afflato totale che regala allo spettatore un’ora di impegnatissima leggerezza.  Gli attori sono in perfetta armonia tra di loro.

I costumi di Lucia Mariani e la selezione musicale ragionata di Davide Mastrogiovanni contribuiscono a rendere ancora più profondo uno spettacolo che, grazie a una sapienziale padronanza delle luci di scena, diventa un caleidoscopico manuale delle profondità del teatro. Buio, luce, ombra, tagli laterali, americane, tutto è usato con una saggezza che non solo non disturba perché priva di alcuna ostentazione, ma invita, invoglia a scoprire quel quid che si nasconde dietro le quinte.

Tra echi brechtiani e pirandelliani, con personaggi che si domandano quanto ci sia di libero in loro e quanto di necessario, tutto ha una eco di precisione ed eleganza. Un saggi di teatro di regia che non si può mancare.

Certamente è uno spettacolo che si può vedere e rivedere perché ogni volta regala un’emozione diversa. E dio solo sa quanto di emozione oggi ci sia bisogno. Contro l’aridità che imperversa ovunque, il teatro di Sepe è una forma di resilienza radicale. Che ci invita a non morire. Che ci invita, ancora, a stupire e lasciarsi stupire.