Come al primo avvio di Google Earth, dallo spazio si precipita subito risucchiati in un mega zoom che arriva a inquadrare, non le vie di casa nostra, ma le vite e le storie dei personaggi raccontati in “Bellavista”, il nuovo album di Domenico Imperato in uscita il 2 febbraio 2018 per Lapilla Records/Ponderosa Records, anticipato dal singolo “Del Mondo il canto”, lanciato in anteprima da Rolling Stone il 18 dicembre 2017.
Prodotto e arrangiato insieme al polistrumentista Francesco Arcuri, registrato e mixato da Angelo Scogno presso Sonus-Factor, uno spazio nascosto, quasi segreto, situato nel piccolo paese abruzzese di Atessa, “Bellavista” arriva a tre anni dall’esordio di “Postura Libera” per espandere l’universo sonoro del primo album e ricostruire una nuova frontiera della canzone d’autore. Un lavoro più completo e maturo del precedente, in cui il rock incontra il pop e l’elettronica danza insieme alla world music. “Bellavista” supera i confini ristretti del Tropicalismo in chiave mediterranea di “Postura Libera” e si apre all’infinita curiosità di Imperato, un artista che suona in modo contemporaneo ma con i piedi ben saldi alla tradizione cantautorale italiana del passato, soprattutto nell’atteggiamento di empatia che nutre nei confronti dell’umanità descritta nel nuovo album.
Un calderone di personaggi ai margini, esclusi e sconfitti, osservati alla lente di ingrandimento. Storie individuali e quotidiane, allo stesso modo di questo tempo e senza tempo, perché nel girotondo di malinconie universali a volte affiora dallo sfondo l’attualità più dura, che sia l’inquinamento, l’ingiustizia o il cannibalismo sociale. Come nei versi di “Stefano”, storia di un tossicodipendente: “L’uomo dà segni di scompiglio/ il mondo dà segni di scompiglio/ Stefano cammina solo/ Ormai quasi si trascina/ L’uomo perde petrolio in mare/ Il mondo non riesce a respirare/ Stefano vuole affogare/ Stefano sta male”. Come la Taranto avvelenata di ”Storia di Adele” oppure “Il nano”, arrivista e truffaldino, uno di quelli che “non né escono mai vinti”, che “del suo cuore non sente più il tamburo”.
Minimale nella scrittura e sensibile verso i suoi sconfitti, Domenico Imperato unisce un’essenzialità di scrittura quasi alla Raymond Carver con il senso di nostalgia di De Gregori o la solidarietà umana di De Andrè.
Sono storie spesso tristi, che descrivono una realtà dura, ma accompagnate per contrasto da sonorità calde che si portano dietro la memoria dei tre anni vissuti da Domenico Imperato in Brasile. Potrà sembrare strano ma sono canzoni da ballare. Grazie allo splendido sodalizio artistico con Arcuri, che dona un respiro musicale molto ampio al disco, esplode il calore delle fanfare, delle percussioni e di tutta la straordinaria sezione ritmica, delle chitarre, dei violoncelli, del flauto. E fra afro-blues danzanti e folk allegro, fra pop scanzonato e rock a tratti duro, spunta anche la partecipazione della cantautrice Erica Mou a impreziosire ulteriormente un brano come “Al matrimonio di due nostri amici”.
Perché questa tormenta esistenziale che percorre tutto l’album è raccontata con la speranza di una rinascita. “Bellavista” è sì un disco duro, a tratti rabbioso, un disco di presa di coscienza della inevitabile disfatta, ma che allo stesso tempo non abbandona la voglia di una ripartenza di slancio.
E se l’album si apre con “Del Mondo il canto”, una preghiera danzante dal ritmo sincopato e dal testo poetico che parla dell’amor fati, cioè dell’ineluttabilità del destino, non è un caso che si chiuda con la title-track, epilogo surreale dominato dalla speranza: il Bellavista, un ristorantino nella provincia e campagna abruzzese, una piccola sala concerti, covo di cantautori, musicisti e artisti di passaggio, che diviene luogo dell’anima in una sorta di realismo magico che gli conferisce il potere di salvezza, di resistenza, di ripartenza.