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Il Quirino di Roma si trasforma nella stanza dei giochi di adulti che non vogliono crescere: ecco “Il giardino dei ciliegi” di Cechov

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Dal recente trionfo al Teatro  Aleksandrinskij di San Pietroburgo salutato da sette minuti di applausi giunge a Roma Il Giardino dei ciliegi di Cechov con la regia di Luca De Fusco in scena dal 3 al 15 novembre al Teatro Quirino. Claudio Di Plama e Gaia Aprea GIARDINO 5

Dopo il felice debutto al Napoli Teatro Festival 2014 e i successi riscossi nei teatri italiani – da Merano a Bolzano, Verona, Genova, Perugia, reduce dalla trionfale accoglienza al Teatro Aleksandrinskij di San Pietroburgo a settembre scorso, approda al teatro Quirino di Roma Il Giardino dei ciliegi di Cechov con la regia di Luca De Fusco, in scena dal 3 al 15 novembre.

Nella bella traduzione di Gianni Garrera, la pièce è interpretata da Gaia Aprea, nel ruolo della protagonista Ljiuba, Paolo Cresta (Jaša), Claudio Di Palma (Lopachin), Serena Marziale (Dunjaša), Alessandra Pacifico Griffini (Anja), Giacinto Palmarini (Trofimov), Alfonso Postiglione (Pišcik), Federica Sandrini (Varja), Gabriele Saurio (Epichodov), Sabrina Scuccimarra (Šarlotta), Paolo Serra (Gaev), Enzo Turrin (Firs).

Le scene sono di Maurizio Balò; i costumi di Maurizio Millenotti; le luci di Gigi Saccomandi; le coreografie di Noa Wertheim; le musiche originali di Ran Bagno. Lo spettacolo è una produzione del Teatro Stabile di Napoli.

Protagonista della vicenda è l’aristocratica Ljiuba, di ritorno in Russia dopo una lunga residenza a Parigi. Appresa la gravissima situazione debitoria e lo stato in cui versa il patrimonio di famiglia, la donna è costretta a mettere all’asta la proprietà con il suo bellissimo giardino. Ad acquistarla sarà il ricco commerciante Lopachin, figlio di un vecchio servo della nobile casata. Luca De Fusco affronta il testo con un approccio mediterraneo al grande repertorio russo: «Ho sempre pensato – dichiara il regista – che Il giardino dei ciliegi fosse una storia “nostra”: questi nobili decaduti che vivono nell’inerzia, incapaci di reagire ai problemi posti dalla vita, questi dandy che si “sono mangiati il patrimonio in caramelle” o sono “morti di champagne”, somigliano a tanti racconti sull’aristocrazia napoletana incapace di entrare nella modernità». «Andrej Konchalovskij – prosegue De Fusco – convenendo con la mia tesi, mi diceva un anno fa come, sia la civiltà russa che quella del nostro meridione hanno saltato la modernità, diventando direttamente post-moderne. Una delle cause della perenne crisi del nostro Sud fa capo proprio all’incapacità che abbiamo avuto di entrare nel Novecento, di vivere la rivoluzione industriale, di diventare moderni. Sono infatti convinto che ci sia qualcosa in comune tra la leggerezza cechoviana e quella del grande scrittore Raffaele La Capria, entrambe dedicate al racconto della decadenza di una classe egemone. I personaggi di Cechov sembrano essere feriti a morte da un’armonia perduta, per usareappunto, due celebri espressioni lacapriane.

Però questo straordinario capolavoro, l’ultimo grande testo naturalista, non è solo un affresco sociale. È anche un poema in cui si racconta della incapacità di diventare adulti, di uscire dalla dimensione del gioco, del puro piacere (si può essere infantili e sensuali allo stesso tempo), del sogno, rifiutando ostinatamente di entrare nell’età adulta e nella realtà razionale.

In questo senso Il Giardino è un grande mistero, perchè se da un lato porta al limite che sfiora la perfezione l’affresco naturalista del disegno dei caratteri con un continuo concertato che somiglia più che mai alla vita, dall’altro contiene elementi assolutamente simbolici, come la stanza dei bambini, il rumore metafisico che chiude il secondo atto, il fragore degli alberi abbattuti che accompagna il finale.