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Opera di Roma, “Le Baccanti” di Henze porta la tragedia senza catarsi, un universo di segni pieno di oscurità

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Si apre la stagione del Teatro Costanzi con “Le Baccanti” di Henze, in scena dal 27 novembre fino all’11 dicembre, opera seria in un atto, con libretto di Auden e Kallmann; una lettura singolare della tragedia di Euripide.

Come ricordato da Alessio Vlad, un lavoro di Henze era già stato proposto in Italia nel ’54 a Roma: con scarsi risultati.

La tragedia segna un ritorno a una grammatica antica, una posizione poetica musicale che ha costretto Henze ad abbandonare la Germania per trasferirsi in Italia. Una decisione che, come ha spiegato il direttore Stefan Soltesz, è stata frutto anche di una presa di posizione politica che era, al tempo, più progressista rispetto alla massa tedesca che si andava posizionando, secondo Henze, su politiche conservatrici.

É una tragedia dai segni antichi, che apre la stagione del Costanzi di Roma. Soltesz ha già diretto a Roma una “Elettra” e un “Rienzi”, e il regista Mario Martone con l’Opera ha già diretto dei lavori di Britten all’Ara Pacis.

L’opera è una vera sfida per il teatro, come con i “Soldati” di Zimmermann, Henze ritorna al gigantismo europeo mahleriano. Utilizzando un organico orchestrale gigante che costringe alcuni muscisti a uscire dalla buca.

Anche la compagnia di canto farà notare uno stile peculiare della composizione di Henze, che si rifà allo stile classico e all’opera italiana. Russel Braun e Veronica simeoni, per esempio, sono esperti del canto mozartiano e del bel canto.

Soltesz, il direttore, ha sottolineato come nella partitura di Henze coesistano momenti di intensità lirica accanto a tratti cameristici. Tutti elementi che sono stati messi volutamente in risalto dalla sua direzione.

Il regista, Mario Martone, commenta: «È un’opera che ha a che fare con il moderno ? È un discorso delicato, è una tragedia in cui sono presenti tutti i temi che sono contemporanei nell’angoscia». In quest’opera, ricorda Martone: «Non c’è catarsi, alcuna risoluzione, offre solo domande e profondità oscurità e nel piano individuale». La sfera del “visivo” viene offerta al pubblico come veicolo del male assoluto, un male che Penteo decide di affrontare. La mediazione, conclude Martone, non esiste: tutto è diretto, immediato. E qui sta la rovina.