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Quando si può, si deve ridere del male. All’Eliseo c’è la giusta risposta a chi ci vuole tristi

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Lì dove manca la capacità di ridere ci sia almeno la possibilità di sorridere. In questo momento così complesso, proprio la possibilità di sorridere è l’antidoto alla tossina della psicosi. E lo spettacolo “Grand Guignol all’italiana” di Vittorio Franceschi, regia di Francesco D’Alatri, in cartellone all’Eliseo fino al 29 novembre, offre proprio questa singolare possibilità.

Nella storia del Grand Guignol c’è tutto quello che serve proprio in questo periodo e che si sostanzia nella possibilità di farci beffe del male. Il maligno che si nasconde dietro la grossolana visione del mondo di chi è ispirato da un manicheismo d’accatto: “o tutti buoni e belli e ricchi, o tutti brutti sporchi e cattivi”.

Ed è proprio Umberto Bortolani, perfetto idealtipo del borghese piccolo e sciatto, a tenere banco. Un eccezionale “nulla”, che fa ridere dal principio fino a pochi secondi dalla sua fine. Proprio come di “nulla” esilarante si può dire di Carmen Giardina, moglie con le voglie, inacidita e perfida. Insopportabile e piena di vis comica, anche nella gestualità espressamente accentuata, che fa di lei tutto ciò che è poco erotico e assolutamente guignolesco.

Sebastian Gimelli Morosini è stato poco valorizzato, forse a causa del ruolo. Il suo personaggio poteva dire di più, caricato di un sottofondo grammaticale che lo voleva proprio inattivo, la sua passività era quasi sconfortante da chi si aspettava un principio di comicità anche dal “poeta”. Andrea Lupo, salumiere pizzicarolo, pizzicato nell’orgoglio maschio è comico. Assolutamente comico. Da solo lui, insieme alla Savino, può imporre al pubblico un ritorno per rivedere il loro duo che è, semplicemente, esilarante.

Ma è Lunetta Savino a tenere banco. Colf esilarante, “magonata” e piena di rancore, gioca con il pubblico, ammicca e lo seduce, trascinandolo, in modo assolutamente inconsapevole, verso il baratro finale. Baratro orrendo che, però, viene servito al pubblico con una grazia di nero humour che lo rende digeribile.

La ragia di D’Alatri fa brillare tutti i personaggi. La sua direzione concede spazio a tutto l’istrionismo che il carattere richiede. Dosa con sapienza il gioco di battute facile a sottili ironie. É uno spettacolo da rivedere. Il prima possibile.