È vero, mancano ancora alcuni giorni e qualche ora (per il conteggio preciso www.facchinidisantarosa.it). Ma l’attesa, sempre grande a Viterbo, quest’anno è spasmodica. Si lavora sotto i tendoni che coprono i tralicci dietro Porta Romana. È lì, accanto a San Sisto, che nasce Gloria, la Macchina di Santa Rosa nuova di zecca progettata dall’ex facchino Raffaele Ascenzi (che già fece Ali di Luce). Gloria per la Santa Patrona della Città dei Papi. Gloria per la ragazza che sfidò l’Impero. La devozione si somma alla curiosità nel cuore dei viterbesi, pronti a crocifiggere il costruttore se il nuovo Campanile che cammina, come Orio Vergani definì la Machena, non risponderà alle attese. Per i viterbesi è appunto la Machena, una tradizione che coinvolge tutta la città la sera del 3 settembre, quando i cento Facchini, dopo “Sotto col ciuffo e fermi!” e “Sollevare e fermi!”, finalmente rispondono all’ordine definitivo: “Santa Rosa, avanti!”. Il mutismo della folla si scioglie allora in applausi scroscianti, in “Viva Santa Rosa” tra lacrime e sorrisi, con gli occhi attenti a ogni movimento, a ogni oscillazione delle luci che brillano nella città oscurata. Poco dopo ci saranno le critiche, ma intanto i ragazzi cominceranno la loro corsa nei vicoli, per affacciarsi più a valle, per rivederla in cammino, per scortarla in qualche modo fino al Santuario, con quell’ultimo strappo in salita che senza corde non si fa. Anche quest’anno sarà così, come sempre. Come deve essere. Il trasporto, che non ha nulla di turistico, anche se attira i turisti, rievoca simbolicamente la traslazione della salma di Santa Rosa, avvenuta a Viterbo nel 1258 per disposizione di Papa Alessandro IV, dalla Chiesa di Santa Maria in Poggio (detta della Crocetta) alla chiesa di Santa Maria delle Rose (oggi Santuario di Santa Rosa). Ed è talmente spettacolare che, insieme ai Gigli di Nola, alla Varia di Palmi e ai Candelieri di Sassari, da aver meritato di essere riconosciuto come Patrimonio orale e immateriale dell’umanità dell’UNESCO.
In onore di Santa Rosa, fin dal pomeriggio le vie del centro storico di Viterbo si riempiono di cittadini e visitatori in attesa di essere immersi nel buio della sera (tutte le luci pubbliche e private sono rigorosamente spente), con l’improvviso sfolgorare del gigantesco campanile che squarcia le tenebre. Nel frattempo i Facchini, vestiti nella tradizionale divisa bianca con fascia rossa alla vita (il bianco simboleggia la purezza di spirito della patrona, il rosso i cardinali che nel 1258 traslarono il suo corpo), si recano in Comune dove ricevono i saluti delle autorità cittadine, poi vanno in visita a sette chiese del centro, infine in ritiro al convento dei Cappuccini, dove il capofacchino impartisce loro le ultime indicazioni sul trasporto. Verso le ore 20 i Facchini, preceduti da una banda musicale che intona il loro inno, partendo dal Santuario di Santa Rosa percorrono a ritroso il tragitto della Macchina, acclamati dalla folla, fino a raggiungere la Chiesa di S. Sisto, presso Porta Romana, accanto alla “mossa”. Qui viene impartita loro dal vescovo la cosiddetta benedizione in articulo mortis, che prende in considerazione eventuali incidenti e pericoli.
Info: www.macchinasantarosa.it. www.facchinidisantarosa.it
Santa Rosa da Viterbo
Rosa nacque a Viterbo nel 1233 da Giovanni e Caterina; desiderava entrare nelle Clarisse, che la respinsero a causa della sua salute precaria. Dopo una guarigione miracolosa entrò nel terz’ordine francescano. Predicò accanitamente contro i catari, aizzati da Federico II contro il Papa, e prese una forte posizione in difesa del pontefice nella lotta fra Guelfi e Gibellini. Fu mandata in esilio con la sua famiglia per ordine del podestà di Viterbo e si rifugiò prima a Soriano nel Cimino, poi a Vitorchiano. In un’occasione rimase miracolosamente incolume tra le fiamme. Predisse la morte dell’imperatore Federico II e quando questa avvenne, tornò a Viterbo. Nel 1996 una ricognizione ha permesso di effettuare una serie di indagini scientifiche, dalle quali è emerso che Santa Rosa aveva un’età compresa tra i 18 e i 20 anni al momento del decesso. Inoltre era affetta da una rara patologia, la sindrome di Cantrell, caratterizzata da una mancanza congenita dello sterno, che normalmente porta a morte durante la primissima infanzia. Sul braccio sinistro è stata rilevata una cicatrice, compatibile con una ferita che le fonti storiche riferiscono Rosa abbia subìto durante l’assedio delle truppe di Federico II alla città di Viterbo.
Per una rievocazione storica della figura di Santa Rosa La ragazza che sfidò l’Impero, di Alfredo Cattaniani, in www.centrostudilaruna.it
Una devozione oltre i confini
Santa Rosa da Viterbo, la cui ascesa agli altari non risulta in realtà da atti formali ed è in attesa di formalizzazione sotto il profilo del diritto ecclesiastico, e’ spesso considerata una Santa minore, solo locale. Pochi sanno che la devozione per Rosa e’ presto migrata oltre confine, certamente fino all’Andalusia e oltre. Non per caso non un viterbese, ma il nobile spagnolo Alejandro de Villamil y Casadiego nel 1690, fondò sulle Ande colombiane, nell’attuale dipartimento di Boyacá, la città di Santa Rosa de Viterbo. E un’altra città Santa Rosa de Viterbo è stata fondata in Brasile, nello Stato di San Paolo.