Il teatro è teatro se e solo se, una volta usciti dalla sala, si sente ancora il bisogno di parlarne ancora. Ecco, dello spettacolo “La bambola e la Putana”, testo di Vittorino Andreoli, se ne può parlare per ore. Perché sono troppi i temi che vengono messi a nudo durante appena un’ora e mezza di spettacolo. Troppe le allusioni e, soprattutto, troppo alto il rischio che si finisca nel riduzionismo psicologista di massa. Non sempre quello che è violenza domestica si può risolvere in questo binomio di parole e soprattutto si può leggere a senso unico. Tutta la realtà e più complessa della monodimensionalità. Così come non sempre “violenza” è la parola che meglio può descrivere una tortura sottile e spietata come la manomissione di ogni libertà che viene rappresentata da “la Bambola”. Una piece spietata, a volte troppo, ma che per questo piace, sulla caduta nel vortice nichilista di un uomo abbandonato dalla vita e dalla speranza. Una personalità depressa, borderline, maturata dentro lo spazio di una mentalità schizoide che preferisce la scintillante alterità di una dea di formalina piuttosto che il rischio vero di una vita vera. Un personaggio perfettamente realizzato da Francesco Laruffa che viene per questo motivo omaggiato di applausi più che meritati.
Ecco, la domanda che ci si deve fare è questa: cosa si condanna dell’uomo, la violenza? Senza dubbio. Ma cos’altro si condanna, la decisione di uscire dal corso della vita? E perché? Chi è il “mondo”, il welt, per alzarsi e proclamare con profonda certezza che si è malati solo e soltanto se si esce dal seminato. Del resto, tutta la psichiatria democratica ci insegna proprio questo, dagli albori fino a Borgna. Ecco, allora superato il primo impatto eccitante della novità si spalancano più quesiti che risposte. La violenza finale genera nello spettatore la facile risposta che l’uomo è il colpevole. Ma ne siamo sicuri? Solamente andando a vedere lo spettacolo si può dare la risposta.
Ne “La putana” si sorride sardonicamente. Ma non può essere considerato avanguardia, del resto dopo De Andrè il mondo del sordido bazzicare non è nemmeno più tanto sordido. Via del Campo ha aperto le braccia a troppi autori perché ormai si senza una ventata di aria fresca. Bella e brava è stata Isabella Caserta, provocante, mai volgare, donna di mondo ma di demi-monde, perfetta dama orizzontale che non cade nel triviale. E se qualche volta si lascia andare allo spicciolo lo fa per parlare direttamente allo stomaco più che alla mente. Una “putana” dialettale che fa sorridere e fa anche, a volte, riflettere: perché ancora consideriamo inusuale uno spettacolo così?